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SOLO UN ASSAGGIO

PER SOLLETICARE LA VOSTRA CURIOSITÀ VI LASCIO I PRIMI TRE CAPITOLI DI "GABRIEL. IL SIGILLO DELLA TREDICESIMA RUNA".

1

La brezza che fresca soffiava dal mare portava con sé l'odore salmastro di una pesca ricca ed addolciva l'aria secca e gelida che avviluppava il corpo dell'uomo sulla scogliera rendendone umidi gli abiti.

Era giorno già da alcune ore, ma il timido sole che rischiarava quelle terre non riusciva a spingere i suoi raggi attraverso ed oltre la fitta coltre di nubi che, come un tetto minaccioso e cupo, avvolgeva ogni angolo raggiunto da occhio umano.

I raggi, delicati nel tepore e nella luminosità per la stagione invernale appena iniziata, erano indeboliti dall'intricato abbraccio di quei nembi che come mani sapienti vi si stringevano intorno e, con la stessa forza e determinazione di grossi pugni di giganti, ne opprimevano la lucentezza fermandone la corsa.

Nonostante il cielo sembrasse un ammasso di minacciose e grosse matasse grigie, il sole, forte e conscio del suo valore, cercava di espugnare il muro di lanugine cinerina per portare a termine il suo compito rischiarando, almeno in parte, quelle terre fiere ed orgogliose con l'intenzione di riscaldarne l'animo guerriero che animoso ed animato, come quello dei suoi abitanti, non si arrendeva all'inverno alle porte.

«Diamine, non è ancora giorno pieno e già si è ficcato in chissà quale guaio».
Il giovane cavaliere sfrecciava rapido in sella al suo
nero cavallo in cerca di suo fratello che, con molta probabilità, aveva ingaggiato un duello con qualche mal capitato.

Andrew, il maggiore dei due, spronò l'animale al limite nella preoccupazione di raggiungere suo fratello minore troppo tardi per impedirgli di commettere qualche sciocchezza.
L'uomo affascinante e forte cavalcava sicuro ed impavido.

Sulle spalle un mantello di pelle d'orso lo scaldava in quel freddo mattino di ottobre e ne celava le forme belle ed eleganti.

Quando un raggio di quel sole guerriero gli sfiorò con garbo il volto, questi alzò il capo al cielo godendo a pieno di quel tepore rigenerante.

Il viso nobile era incorniciato da un groviglio scomposto di capelli scuri che morbidi ed ondulati gli scendevano fin sopra le spalle.

Andrew si passò una mano sulla testa partendo dalla fronte per tirare indietro quella bella e lucente massa di capelli scoprendo maggiormente gli occhi scuri ed intriganti.
Nel suo sguardo riluceva la purezza di un cuore virtuoso e la consapevolezza che quel cuore lo avrebbe sostenuto sempre ed in qualsiasi circostanza. Anche quel mattino.

Seppure con l'animo in tumulto, si perse nelle sue romantiche fantasie di gentil uomo.
Riprendendo il galoppo lungo il margine della scogliera, che ripida e veloce cadeva a picco nelle acque gelide di quel mare profondo e scuro che l'abbracciava impetuoso con le sue spumeggianti onde, il bel cavaliere si sorprese a fantasticare su un mondo meno complicato del proprio, un mondo che era un ricordo ormai lontano legato ai primi anni della sua vita quando doveva preoccuparsi solo di se stesso e dei suoi affari di bambino piuttosto che vivere nell'agitazione di dover rincorrere suo fratello fino ai quattro angoli del mondo per tenerlo al sicuro da se stesso.

Per quanto nel suo cuore albergasse una strana sensazione di preoccupazione mista a rabbia, non riusciva a non farsi catturare da quanto i suoi occhi incontravano lungo quella corsa.
La montagna scendeva a piombo nell'acqua con un susseguirsi di sommità ed insenature che ne modellavano il fianco donandole un dinamismo ed una morbidezza in netto contrasto con la forza e la durezza della fresca pietra che le faceva da impalcatura.

Il leggero strato di muschio che ne fasciava alcuni tratti sembrava vestirla di un abito elegante laboriosamente tessuto per coprire con pudore le parti che, altrimenti nude, avrebbero incontrato il freddo dell'oceano.

La scogliera, superba e coraggiosa, non aveva nessuna intenzione di arrendersi alla forza di quella massa d'acqua che ne lambiva la base come fa un amante con le caviglie della sua donna in attesa di essere accolto nelle sue più intime grazie.

Allo stesso modo il bosco che abbracciava la collina non si rassegnava al gelo e al freddo che lo stavano costringendo alla nudità, privi come erano gli alberi delle loro fronde che rigogliose ne vestivano i rami durante le stagioni più calde. L'autunno che volgeva al termine lasciando il suo posto al rigido inverno li aveva spogliati delle gialle foglie e le querce, ora, allungavano i rami impoveriti e rinsecchiti verso il cielo come mani scheletriche prive delle carni che attendono un tempo migliore per tornare alla cara e desiderata opulenza.

Il bel paesaggio aveva distratto il giovane uomo che si era concesso un momento per osservare il suggestivo sali scendi della montagna e tutto ciò che la corteggiava e, se anche conoscesse a memoria ogni pertugio, essendo in quelle terre nato e cresciuto, riusciva sempre a rimanerne stupito ed incantato.

Il suo mondo interno era in costante movimento così come il mondo che lo circondava che, dinamico e puntuale, cambiava assecondando il cambiare delle stagioni ed il trascorrere del tempo.

Andrew era parte di quelle terre nel cuore e nello spirito.
Anche lui come loro, affascinante allo sguardo, era un insieme di tenui discese e veloci salite. Entrambi erano ricchi di magnifiche contraddizioni e, valorosi e nobili, stavano al mondo rispettandone le silenti regole.
Al contrario di suo fratello Gabriel, Andrew amava la vita e il genere umano dal quale era sovente incuriosito.
Il cavaliere aveva conosciuto in giovane età il senso estremo della sofferenza e della morte, il cui lascito fu un odio viscerale per la malvagità e la mancanza di rispetto e cura per la vita propria e quella altrui.

Curioso per natura, adorava apprendere quanto non conosceva e faceva della sua ignoranza un punto di partenza e forza verso la conoscenza.

Viveva in costante adorazione nei confronti della perfezione della natura che lo circondava ed abbracciava stringendolo nelle sue materne e sapienti braccia.

Non c'erano risposte che un occhio attento poteva non trovare osservando l'ordine del mondo nel quale leggi semplici, efficaci ed assolute regolavano la vita di ogni animale o pianta che ne facesse parte e da questo Andrew era ammaliato.

Il fascino che le stagioni e la potenza dei fenomeni naturali esercitavano su di lui era fortissimo ed ineluttabile. Spesso, durante le notti di tempesta, rimaneva incantato ad osservare il susseguirsi di lampi e tuoni che, come due innamorati destinati alla solitudine, si rincorrevano senza sosta e senza la speranza di incontrarsi mai.

L'animo puro e ricco di bontà lo aveva reso spesso oggetto di scherno ad opera e per conto di altri nobili che, scambiando la buona educazione e l'amore per il bello del mondo con debolezza ed effeminatezza, in un paio di occasioni ne avevano provocato le reazioni che, decise ed impossibili da fraintendere, furono forti ed, in taluni casi, violente.

Suo fratello Gabriel, invece, considerato da molti alla stregua di un barbaro senza la minima creanza e delicatezza, pretendeva ed otteneva il rispetto per se stesso ed una sorta di reverenziale timore con la brutalità e la forza menando le mani con facilità estrema e conducendo la propria vita in modo dissoluto, non apprezzandone a pieno il valore e mettendola a rischio con spavalderia ogni giorno. Anche quel giorno.

L'animo di Andrew, fino a quel momento rasserenato e pacificato dal paesaggio, fu disturbato da un frastuono irritante che proveniva da qualche decina di metri più avanti rispetto a dove si trovava lui.

Sorpreso da tanto fracasso tirò bruscamente le redini di Eric che, altero e potente, si impennò nitrendo con disappunto.

L'animale sgrullò il capo discendendo sulle zampe anteriori e la criniera nera e lucida sembrò scintillare di una calda luce sotto i riflessi del chiarore che, fiacco ed inibito, filtrava tra le nuvole. Osservare quell'animale ed il suo cavaliere sarebbe stato uno spettacolo per gli occhi di chiunque se solo Andrew avesse ceduto alle lusinghe del proprio magnetismo e della propria elegante bellezza.

La luminosità del giorno da poco iniziato si avvicinava cauta e attenta al profilo del coraggioso cavaliere e del suo possente cavallo illuminandone alcune parti e tenendone altre nell'oscurità di un giorno non ancora sbocciato a pieno.

La carezza di quel tepore rigenerò i due che muovendosi all'unisono sembravano fusi in un unico gesto.
Lo splendido esemplare di destriero tese i muscoli imponendo loro di lavorare al meglio mentre il respiro si faceva greve e dalle frogie, aperte al massimo per far entrare più aria possibile, il suo respiro infuocato usciva in forma di nuvolette di vapore generate al contatto del caldo fiato della bestia con il clima freddo. Andrew ne assecondava i movimenti rispondendo morbido e fluido sulla sella. Tenendo strette le redini ed alzandosi un poco sulle gambe quando il purosangue prendeva velocità, ne incoraggiava e favoriva la corsa.

Ancora una volta il ragazzo si perse nei suoi pensieri, nei suoi sogni.
Cavalcare Eric era un piacere ed un privilegio, il cavallo sembrava conoscere, comprendere ed anticipare i suoi desideri ed il suo volere privandolo dell'onere di guidarlo durante la corsa.

Tra i due c'era complicità e fiducia. Il loro era un rapporto di reciproco affetto iniziato quando Andrew era ancora un ragazzino. Il cavallo gli fu donato da suo nonno un paio d'anni dopo la morte dei suoi genitori, quando, ormai, era chiaro a tutti che il giovane non avrebbe mai più abbandonato quell'espressione preoccupata, quel piglio assorto e quel cuore stretto nel dolore ed invecchiato di decenni.

Il suo anziano nonno sperava che donandogli un animale di cui prendersi cura avrebbe distolto i suoi pensieri dalle elucubrazioni mentali in merito alla morte dei suoi parenti e dal desiderio di vendetta per mettere meglio a frutto la sua testa sveglia ed intelligente. Sperava che iniziando ad amare l'animale avrebbe riaperto il suo cuore alla semplicità di un sentimento puro.

In più, Eric era un puledro impegnativo, forte e selvaggio, sembrava indomabile all'inizio e William era certo avrebbe impegnato suo nipote anche sul piano fisico, stancandolo ed aiutandolo a riposare alla notte. Il ragazzo perdeva il sonno ormai da troppe stagioni.

L'anziano non si sbagliava su niente.
Tra i due il legame fatto di bene e rispetto fu da subito chiaro e presente ed il testardo purosangue aiutò il giovane piccolo uomo a riaprirsi ad una quotidianità che sembrava lontana chilometri. Ancora una volta, il rumore sordo e potente di qualcosa che veniva fatto a pezzi, anche questo proveniente da poche decine di metri di distanza, lo riportò al mondo reale.
Il cavaliere fermò la sua corsa tirando, di nuovo, bruscamente le redini del destriero che, di nuovo, protestò nitrendo. Entrambi, come mossi da una forza comune, rivolsero in quella direzione lo sguardo che fu però bloccato dal rudere di un vecchio casale in pietra. Il gran baccano sembrava provenire da lì.
Una volta incitato il suo cavallo a riprendere la corsa, Andrew iniziò a chiamare a gran voce il nome di suo fratello. Come prevedeva, non ebbe risposta.
Subito dietro quelle che sembravano essere le rovine di ciò che in passato doveva essere stata una residenza aristocratica, c'era un grande cortile e in quel cortile Gabriel ed un altro ragazzo della sua età battagliavano con la spada.
Andrew sopraggiunse un attimo dopo che suo fratello minore aveva scaraventato il suo antagonista contro una catasta di legno marcio che si disintegrò all'impatto col peso del corpo di quello stolto duellante.

Il cavaliere, non mancando di accarezzare con gratitudine il collo del possente animale e fedele compagno, si chinò un poco sulla groppa di Eric per permettere a entrambi di passare sotto un arco a volta di pietra che apriva l'accesso al cortile e che, miracolosamente, era rimasto in piedi dopo tutti quegli anni trascorsi nella solitudine di un luogo abbandonato.

Appena superato quell'antico e cadente uscio, l'uomo alzò il capo ancorando saldamente lo sguardo su quanto stava accadendo in quel vecchio palcoscenico.
Un fitto capannello di uomini, per lo più giovani adulti, circondava i due ragazzi coinvolti nel combattimento incitandoli e commentando quanto accadeva davanti ai loro occhi.

In un attimo scese il silenzio, quando il più mingherlino dei due precipitò pesantemente su un mucchio di legna fradicia.
Gli spettatori aspettavano ansiosi e attenti che questi si rialzasse sperando che il malcapitato non fosse già morto interrompendo, così, il loro divertimento troppo presto.

Il ragazzo, dal canto suo, spinto più dalla testardaggine che dalla forza fisica, si tirò in piedi lentamente, quasi come se dovesse aspettare che il luccichio che aveva davanti gli occhi ancora con le palpebre chiuse ed il ronzio che aveva nelle orecchie si placassero.

Certo, il colpo che aveva subito doveva avergli lasciato un qualche strascico ma quello, con fare spavaldo, zoppicando per la ferita riportata alla coscia dalla quale penzolava la scheggia di una delle tavole di legno della catasta che, come un dardo, vi era rimasta conficcata nell'impatto, si avvicinò a Gabriel riprendendo la posizione di guardia.

Il sangue del ragazzo colava lungo il brandello di legno che lo aveva trafitto per poi gocciolare a terra ticchettando debolmente. Alla vista del giovane ritto in piedi, il manipolo di spettatori esultò pronto a riprendere le sue scommesse e a godersi la rissa. Quando Andrew li vide, invece, scosse il capo annoiato. Era evidente che non fosse la prima volta che tirava suo fratello fuori dai guai e, dal modo ammiccante e divertito con il quale Gabriel

gli sorrise non appena si accorse della sua presenza, si sarebbe detto non sarebbe stata neanche l'ultima.

In realtà, tutti i presenti si accorsero dell'arrivo del nuovo ospite. Non poté essere altrimenti. Eric nitrì violentemente e pestò gli zoccoli delle zampe anteriori a terra come se volesse richiamare quello scapestrato ragazzo all'ordine che, dal canto suo, intento nel suo duello, non prestò molta attenzione né al fare minaccioso del cavallo, né agli ammonimenti di suo fratello.

«Gabriel, fratello mio, lascia andare quello sprovveduto ragazzino».
«Non sono un ragazzino, Signore».
Rispose l'antagonista di Gabriel sentitosi punto nell'orgoglio di giovane uomo.

«Ho la stessa età di vostro fratello».
Proseguì quello giusto un istante prima di essere colpito con una pedata nel sedere dal suo avversario che rideva divertito e beffardo della sua inesperienza nell'arte del duello.
«Ma non la stessa abilità...si direbbe».
Lo apostrofò Andrew.
Approfittando della distrazione del suo contendente, la cui attenzione fu catturata dall'arrivo dei due, cavallo e cavaliere, e veicolata dall'orgoglio in una conversazione sterile ed inutile che lo portò a spostare la spada e gli occhi da Gabriel e rivolgerli con fare minaccioso verso Andrew che lo aveva appena tacciato di essere un ragazzino, Gabriel si spostò alle sue spalle e lo colpì alle natiche più per schernirlo che per altro.
Il derisorio campione continuava a girare intorno al suo rivale senza attaccare. Brandiva la spada con presa sicura e facendola roteare sopra la testa fissava sorridendo l'altro che, ora, più colpito nell'animo che nel fisico per la pessima figura fatta, lo osservava muoversi come una fiera che gioca con la sua preda. Sul volto del giovane evidentemente meno esperto si affacciò una sfumatura di terrore misto a confusione che ne invecchiò i tratti di bambino credutosi uomo ora improvvisamente

consapevole di essersi infilato in una situazione dalla quale sarebbe uscito illeso con poche, pochissime possibilità.

Il tempo sembrò dilatarsi mentre i due continuavano a guardarsi senza decidersi a passare ai fatti.

Andrew parlava con tono pacato cercando di convincere suo fratello a lasciar correre aspettando il momento giusto per intervenire. Quando lo fece, quando intervenne, lo fece in modo inaspettato e rigoroso.

Nulla nel suo atteggiamento o nel suono delle sue parole, pacifiche e apparentemente poco interessate, aveva lasciato trapelare l'intenzione che si era fatta strada nei suoi pensieri e l'idea del gesto che di lì a poco si sarebbe apprestato a compiere. Gabriel stava per colpire con un fendente poderoso la gamba del suo antagonista quando suo fratello, con fare indolente, estrasse un freccia dalla faretra e la sistemò vicino l'arco ancora abbassato e accostato alla coscia permettendole di prendere il suo posto come guidata da un magnete naturale che le indicava esattamente dove andare. Puntò i talloni sul corpo del poderoso animale che aveva sotto di sé, si alzò appena dalla sella facendo forza sulle gambe robuste e contraendo i muscoli tonici della schiena, cercando l'equilibrio migliore, svuotò la mente da ogni pensiero che avrebbe potuto turbarne l'attenzione. Una volta trovata la giusta concentrazione respirò a fondo e sbuffando fuori l'aria scagliò il colpo sorprendendo suo fratello.

Andrew aveva bisogno di calma e serenità per fare ciò che si apprestava a fare. Era un colpo impegnativo. Non avrebbe mai voluto ferire suo fratello gravemente, doveva essere, per quel testone con il quale le parole erano ormai vane da troppo tempo, solo un ammonimento a smettere quel gioco spavaldo che avrebbe potuto sfociare in gravissime conseguenze.

Per un istante, prima di scagliare la freccia, ne immaginò la traiettoria. Immaginò la sua mano impugnare il piccolo ma efficace dardo, osservò se stesso tendere l'arco e poi lasciarlo andare. Seguì con attenzione la parabola disegnata in aria dall'arma, quella che lui le aveva imposto e la osservò conficcarsi nella carne del fratello.

Accadde esattamente quanto lui aveva visto nella sua mente. L'elegante dardo trafisse l'aria emettendo un fischio delicato e musicale un attimo prima di conficcarsi nella parte più carnosa dell'avambraccio di Gabriel, nel punto in cui, Andrew sapeva, non gli avrebbe arrecato alcun danno se non un dolore lancinante e bruciante che lo avrebbe costretto a mollare la spada.

Così fece quello.
Imprecando, Gabriel fu colto da un dolore cocente al braccio destro, fu quasi come se gli stesse andando a fuoco. Come risposta a quel dolore, la mano, di riflesso e senza intenzione alcuna, si spalancò annullando la presa sulla spada che con un tonfo sordo cadde a terra.
Il giovane era furioso, ciononostante non osò alzare un dito contro suo fratello maggiore.
«Ho finalmente attirato la tua attenzione, fratello».
Disse Andrew rivolgendo sguardo ed arco al secondo zuccone presente. L'altro ragazzo, che aveva solo appena pensato di approfittare di quel ferimento per sanare le differenze con il suo avversario, quando fu raggiunto dall'eloquente sguardo di Andrew che era un chiaro "non pensarci nemmeno ragazzino o ti centro in pieno petto" si fermò all'istante e, seguendo il consiglio che una paura folle, cresciuta nello stomaco, gli stava dando a grandi lettere, chinò il capo e fece un paio di passi indietro. «Direi di si».
Rispose intanto Gabriel tra i denti mentre si tirava via il dardo insanguinato dal braccio.
«Mi hai ferito. E fa male».
Proseguì il baldanzoso giovane uomo mentre, spostandosi lento, raccoglieva le sue cose da terra nel brontolio insoddisfatto degli spettatori che, maledicendoli per la fine dello spettacolo, si allontanavano.
Gabriel si muoveva come una belva, deciso ed implacabile con lo sguardo furente si avvicinò alla spada per raccoglierla da terra

non mancando di intimorire il suo avversario ringhiandogli a un soffio dal viso.

L'impudenza di quel giovane era disarmante.
Non aveva rispetto per niente e per nessuno se non per suo fratello maggiore per il quale provava una sorta di idolatria. Rimasti orfani molto piccoli, Andrew si era preso cura del suo più giovane fratello come un padre seppure fosse un ragazzino anch'egli.

Quando sua madre e suo padre furono uccisi da alcuni briganti durante uno spostamento con il carro di famiglia, Andrew promise a se stesso che mai lo avrebbe abbandonato e che mai avrebbe permesso che gli fosse accaduto qualcosa di brutto. Intanto Gabriel si avvicinava lentamente a Andrew che, riposto l'arco e ripresa una posizione comoda sulla sella, lo osservava sorridendo con le mani strette in grembo.

«Non farmi il broncio, ho scelto un dardo piccolo. Ti ha fatto male comunque?...povero piccino».
Disse il cavaliere non mancando di sorridere.
«Dov'è il mio cavallo, fratello?».

Chiese Gabriel ignorando la sua provocazione.
«Dove lo hai lasciato custodito».
Rispose ironico Andrew rivolgendo lo sguardo alla sua destra. Gabriel fece lo stesso ed entrambi incrociarono Luna, il suo bellissimo pezzato che ciondolava beato ad alcune decine di metri da loro.
L'animale regale e snello sembrò rivolgere il muso verso il suo sbadato cavaliere che aveva dimenticato di legarlo un attimo prima di iniziare a correre dalla parte opposta a dove si trovavano i due fratelli, come se volesse punirlo per tanta immeritata trascuratezza.
Andrew non poté trattenere una sonora e canzonatoria risata pensando al fatto che suo fratello avrebbe fatto una lunga e bella passeggiata.
«Bene».
Disse Gabriel con tono sprezzante.

«Speriamo si diriga a casa».

Aggiunse.
«Già, lo spero per te fratello».
Così dicendo Andrew incitò, con un colpo delicato ma sicuro dei calcagni, Eric a ripartire lasciando Gabriel di stucco e a piedi. «Andrew, siamo molto lontani da casa».

Gli urlò Gabriel trattenendo un imprecazione.
«Allora sarà meglio che ti metta in cammino se non vorrai saltare il pranzo».
Rispose Andrew senza voltarsi o rallentare la sua corsa.

Al ritorno del giovane cavaliere al castello, Luna era già nel suo giaciglio. Strigliata e pulita a dovere sgranocchiava carote e mele.
Quando le passò accanto, lei voltò appena il muso verso di lui nitrendo.
Se fosse stato un essere umano si sarebbe potuto dire che il tono era di disapprovazione misto a rimprovero.
Un sano "ti sta bene, zuccone".
Gabriel sorrise e le accarezzò la groppa robusta prima di entrare nelle cucine.
Il pezzato era stato un dono di Andrew per il sedicesimo compleanno di suo fratello sperando che, prendersi cura di qualcuno che non fosse se stesso, lo avrebbe aiutato ad essere meno sprezzante ed arrogante con il resto del mondo.
Non subito, ma dopo un paio di mesi il tempo diede ragione al maggiore dei due fratelli.
Gabriel si era deciso ad occuparsi dell'animale che, paziente e mansueto, ne aveva atteso le carezze per settimane.
Un caldo mattino di estate Gabriel stava portando fuori un cesto pieno di mele ed uno dei cani del cortile, infilandoglisi tra le gambe, lo fece precipitare giù dai gradini d'ingresso facendolo atterrare per terra, lui ed il contenuto del cesto.
Luna, che a quel tempo non aveva ancora un nome, era nel recinto poco distante ad assistere all'intera scena.

Nessuno osò avvicinarsi al giovane Gabriel, poco più che adolescente, per non incrociarne l'ira e la rabbia che spiccavano nel suo animo. Nessuno tranne il bel pezzato.

Scovando uno spiraglio lungo lo steccato uscì dal recinto e si avvicinò al giovane che a capo chino, sbraitando contro la bestia che lo aveva fatto cadere tanto scioccamente, raccoglieva i frutti sparsi in tutto il cortile.

Luna si accostò cauta e con il muso ne spinse uno vicino al piede di Gabriel che solo allora si accorse della sua presenza.
Raccolse il frutto e, raddrizzandosi, scacciò il cavallo in malo modo agitando le braccia e gridandole di allontanarsi.

Lei non si mosse se non per andare a raccogliere altre mele. Andarono avanti così finché il cesto non fu di nuovo pieno e Gabriel stufo di urlare improperi al povero pezzato.
A quel punto si sedette su quegli infidi gradini che avevano contribuito al suo capitombolo ed iniziò a fissare la puledra che tranquilla ed orgogliosa non abbassava lo sguardo.
I due rimasero così, in silenzio, studiandosi per parecchio tempo. Fu Gabriel a muoversi per primo.
Prese, con apparente noncuranza, una delle mele dal cesto e avvicinandosi all'animale le diede un morso.
Il cavallo ne seguiva le mosse senza timore alcuno e quando lui, sorridendo appena, le offrì quanto rimaneva della bella e succosa mela, l'accettò immediatamente permettendo al ragazzo di nutrirla ed anche di accarezzarle il muso.
Fu una sorpresa per i presenti perché il destriero non aveva mai accettato cibo dagli umani e, in realtà, non si avvicinava alla mangiatoia se non dopo che tutti erano lontani.
Così come il suo cavaliere, anche lei, non aveva fiducia nel mondo e nei suoi abitanti...ad eccezione fatta per Gabriel.
«Luna. Ti piace se ti chiamo Luna?».
Le chiese lui al termine di quello scambio di sguardi.
Lei sembrò annuire alzando ed abbassando il muso e nitrendo. La memoria di quel lontano ricordo, rimbalzatogli in mente appena aveva incontrato lo sguardo dispettoso della cavalla, lo

fece sorridere di un sorriso sereno la cui ombra era ancora sul suo volto quando entrò in casa.

Andrew era comodamente seduto su una delle panche di legno e stava per iniziare a mangiare il suo pasto quando la grande porta si aprì e sull'uscio comparve suo fratello visibilmente affaticato ma rilassato.

«Meredith...».
Disse rivolgendosi ad una delle domestiche.
«Porta a mio fratello dell'acqua e delle bende per le ferite affinché possa medicarsi e del sidro, per lenire il suo orgoglio ferito. Ti ringrazio».
Il tono, seppure autoritario come si confaceva ad un uomo del suo ceto, era sempre affabile, cordiale ed educato anche se si rivolgeva ai suoi domestici.
Andrew era un esempio di galanteria e lo era sempre, con tutti e comunque.
Non era raro vederlo aiutare le sue domestiche nello svolgere lavori pesanti o i suoi inservienti nella cura delle stalle o dell'enorme podere che i suoi genitori avevano lasciato a lui e a suo fratello.
Gabriel tirò via in malo modo dalle mani di Meredith il catino con l'acqua e le bende e lo poggiò sbattendolo sul tavolo di legno della cucina senza ringraziare la giovane donna se non dopo che Andrew, senza alzare gli occhi da piatto, batté il pugno sul tavolo in segno di rimprovero.
«Grazie».
Disse l'altro tra i denti. La giovane chinò il capo e si allontanò in fretta lasciandoli soli.
«Non avresti dovuto riprendermi davanti a lei».
Il più giovane dei due era intento ad aprire la camicia sporca di sangue per verificare lo stato della ferita al braccio, non si voltò verso il fratello mentre gli parlava.
Era furente di rabbia per il fatto di essere stato interrotto durante quel combattimento e per essere stato ferito e messo in discussione di fronte ad un servo ma amava dal profondo suo

fratello e gli era grato per tutto ciò che aveva fatto per loro negli anni trascorsi da orfani, per tutto quello che aveva fatto per lui e non avrebbe mai potuto altro contro di lui se non alzare un poco la voce.

«Non avresti dovuto essere tanto scortese».
Rispose Andrew continuando il suo pasto e rilassandosi appoggiando le spalle al freddo muro di pietra contro il quale era saldamente posizionata la panca su cui era seduto.
Quella parte della casa, quella delle cucine, era certamente meno rappresentativa ma più funzionale.
I grandi tavoli di legno di quercia, ce n'erano tre, due per mangiare ed uno era usato come banco da lavoro dalla cuoca, erano composti da una lunga e solida tavola spessa come una mano. I nodi del legno e i tanti anni di usura le conferivano un aspetto caldo e familiare mentre se ne stava appoggiata ed ancorata a delle grosse e robuste zampe anch'esse di legno di quercia intagliato con maestria a cura.
Sotto ogni tavolo ce n'erano sei, tanto era lungo il piano di appoggio, ognuna raffigurava una scena precisa della vita familiare e, esattamente come raccontava la tradizione celtica e druida della quale la madre dei due giovani era un'accalorata seguace, il tutto era arricchito da rune intagliate affinché gli abitanti della casa che si sarebbero nutriti, sedendosi intorno a quelle tavole, fossero da quelle benedetti.
Simboli di protezione che, però, non avevano protetto la donna morta in giovane età e per morte violenta.
«O tanto avventato».
Proseguì Andrew non curandosi dello sguardo accigliato e arrabbiato del fratello.
« Quello era solo un ragazzo. Se lo avessi ucciso?».
«Quello era uno stolto. Mi ha provocato alla taverna dicendo che non sarei stato in grado di....».
Andrew lo interruppe bruscamente alzando una mano come monito a tacere.
«Fratello».

Continuò.

«Anche gli stolti hanno dei genitori che ne piangerebbero la morte così come tu hai pianto la morte dei tuoi genitori. È questo che vuoi? Che qualcun altro soffra le tue stesse sofferenze?».
In un attimo tutte le differenze tra i due fratelli, che se anche bagnati dallo stesso nobile sangue erano animati da sentimenti agli antipodi di uno stesso cuore, vennero fuori.
Nello sguardo di Andrew tutta la sofferenza ed il dolore del ricordo della perdita dei suoi genitori, in quelli di Gabriel, che di tutta risposta fece spallucce, la noncuranza ed il disprezzo per il dolore altrui.

 

 

2

Il più giovane dei due era privo di ricordi dei suoi defunti genitori perché troppo giovane il giorno della loro morte. Aveva solo tre anni e le uniche memorie che conservava di loro due erano legate alla sua mamma che, intenta con il tombolo, ricamava seduta di fronte al camino nelle sere d'inverno accarezzando, di tanto in tanto, il capo riccioluto del suo bambino raccontandogli storie di eroi e dame mentre nel cortile suo fratello maggiore, di circa tredici anni, si allenava all'uso delle armi con suo padre.

Gabriel, decisamente più interessato a quanto accadeva fuori da quella stanza che alle leggende che gli narrava sua mamma, si aggrappava al davanzale della finestra in fredda pietra con le manine paffutelle tirandosi sulla punta dei piedi per riuscire a vedere fuori e quando la donna lo prendeva in braccio, sollevandolo, per permettere al suo visino roseo di sporgersi dall'apertura ed osservare all'esterno, il piccolo si perdeva in fantasie nelle quali lui era lì fuori con suo padre e suo fratello a tirare con l'arco o ad esercitarsi con la spada.

Purtroppo solo qualche giorno dopo quella sera i suoi cari furono uccisi insieme a due servi in un attacco da parte di alcuni briganti.
A Gabriel non fu permesso vedere i corpi dei suoi genitori o assistere all'ultimo saluto riservato loro. Ognuna di queste due terribili incombenze toccò ad Andrew.

Quando il ragazzo ricevette l'orribile notizia era seduto in cortile in compagnia di uno dei servi che rastrellava l'aia mentre parlottava con lui raccontandogli di gnomi e fate che abitavano i boschi lì intorno.

Era solito riferire ai ragazzi storie terrificanti i cui protagonisti erano animali immaginari di ogni genere e streghe e gnomi e esseri sovrannaturali che popolavano la foresta di notte. Anche loro nonno li intratteneva con racconti del genere più per dissuaderli, spaventandoli, dall'avventurarsi nei boschi dopo il calar del sole che per dilettarli.

Il tempo scorreva tranquillo quando la carrozza di suo nonno fece ingresso nel cortile attraversando il massiccio arco di pietra. Il giovane ragazzo intento nell'intagliare un pezzetto di legno si bloccò alla vista dell'uomo.

Il volto dell'anziano teso in una smorfia di dolore incorniciava due occhi vitrei e privi di espressione.
Andrew capì subito che qualcosa di brutto doveva essere successo e, distratto dall'atterrimento, si ferì con il coltellino che il servo gli sfilò, poi, dolcemente dalle mani.

Con gli occhi fissi sul padre di suo padre il ragazzo, distrattamente, prese il fazzoletto che il suo compagno di storie gli stava porgendo mentre era ancora stordito da quegli occhi profondi e sofferenti. Si ridestò solo quando sentì uno scalpiccio di piedi alle sue spalle.

Suo fratello era con la balia nella grande sala quando sentì sopraggiungere una carrozza e, mosso dalla fanciullesca curiosità che caratterizza i bimbi, si diresse all'esterno correndo a perdifiato.

Appena messo il naso fuori il piccino fu investito dalla luce intensa e calda del sole che quel mattino con prepotenza aveva trovato il suo posto nel cielo.
Era l'inizio di una bella giornata di marzo ed il clima e la temperatura calda come una coperta in inverno contrastavano con l'animo di Andrew, gelido...freddato dalla consapevolezza che i suoi genitori non avrebbero fatto ritorno a casa. Quell'attimo di esitazione di Gabriel, costretto a fermarsi sull'uscio coprendosi gli occhietti vispi con la mano per non essere trafitto da quel sole che tanto amava, permise al maggiore dei due di intercettarne la corsa prima che giungesse ai piedi di suo nonno che, accasciatosi a terra sotto il peso e la gravità di quella terribile morte, non avrebbe avuto la forza di cingerlo tra le braccia.

 

 

Andrew lo afferrò al volo sollevandolo da terra con un solo braccio e ruotando su se stesso rivolse il suo sguardo verso la grande casa privandogli la vista del nonno ora in lacrime.
Il pianto straziante del suo anziano nonno e lo sguardo confuso del suo giovane fratello che, alzando il viso gli piantò in volto gli occhi castani spalancati per lo stupore, lo travolsero come un uragano. Spietato...inarrestabile e distruttivo.

Andrew strinse più forte Gabriel che dopo un attimo di reticenza, nel quale cercò di divincolarsi per fuggire quella stretta, si abbandonò alla protezione di quell'abbraccio caldo e sicuro quasi come se fosse consapevole che da lì in avanti sarebbe stato il solo che lo avrebbe scaldato nelle notti di inverno e rassicurato nei momenti buoi e confusi della sua vita da adulto.

Affondò il visino nel petto di suo fratello maggiore e con le manine incerte strinse più forte la blusa di Andrew che cercò di fuggire quel momento come meglio poté per non permettere ai suoi occhi di piangere, al suo cuore di perdere un battito e ai suoi polmoni di saltare un respiro.

Tutto nel suo animo rimase calmo, congelato, come in un ritratto interrotto a metà. Limpido e bellissimo ma incompleto.
La servitù si precipitò fuori e senza udire parole comprese quanto fosse accaduto.

Elisabeth, la più anziana tra le domestiche si avvicinò ad Andrew e, accarezzandogli delicatamente la mano che stringeva la nuca di Gabriel, e che ora tremava visibilmente, ne attirò l'attenzione e con un cenno impercettibile del capo, quasi fosse un segreto e personale linguaggio, gli fece intendere di mollare suo fratello e apprestarsi a fare ciò che era giusto.

Il giovane ragazzo si scostò a fatica dal suo fratellino che sempre più confuso seguì la donna saltandole in braccio senza dire nulla e chinò il capo.
Inginocchiato a terra con entrambe le mani libere ed intorpidite da un tremore innaturale non poté fare altro che poggiarne i palmi a terra e, osservando il terreno rossastro per la presenza della creta con la quale si dilettavano suo fratello e sua mamma

nelle giornate di sole come quella da poco iniziata, svuotò la mente, respirò a fondo, ritrovò la pace dell'animo e pigramente si decise ad alzarsi.

Lentamente ma con decisione si avvicinò a suo nonno che curvo sulle gambe e con un braccio appoggiato su un ginocchio gli sembrò improvvisamente invecchiato di cento anni.

Quell'uomo forte e robusto che gli aveva insegnato ad andare a cavallo e a prendersi cura degli altri, che gli aveva spiegato il valore della vita e del rispetto per il mondo e per chi lo popolava. Quell'uomo che aveva visto battersi a mani nude alla taverna per l'onore di una cameriera offesa da un villano. Quell'uomo ora piegato su se stesso appariva ai suoi occhi come un cucciolo smarrito...ferito...sconfitto da un fato troppo crudele che lo aveva privato dell'amore della sua vita strappandogliela dalle braccia per via di una febbre violenta solo l'inverno precedente, ed ora gli portava via l'unico figlio e l'adorata nuora.

Andrew si accostò a lui con cautela quasi temesse di turbarne ulteriormente l'animo già in frantumi ed allungò la mano esitante a sfiorargli una spalla con la discrezione ed il cuore buono che lo distinguevano nel mondo.

A quel primo contatto l'uomo trasalì ma, senza pensarci un attimo, afferrò il polso esile del suo coraggioso nipote tirandolo a sé per stringendolo in un abbraccio disperato.
Andrew di nuovo raccolse le idee e strinse più forte suo nonno cercando di lenirne il dolore.

«I tuoi genitori...»
Cercò di dire l'anziano.
«Lo so. L'ho capito quando siete arrivato».
Lo interruppe con consapevolezza il ragazzo.
«Voglio vederli».
Aggiunse in tono monocorde.
«Non credo sia il caso, figliolo. I loro corpi sono...».
William non riuscì a trovare le parole per descrivere lo scempio al quale lui stesso aveva assistito non più di alcune ore prima, ma di nuovo fu come se Andrew gli avesse letto nel pensiero e disse:

«Non importa quanto brutto potrà essere. Io devo dire addio ai miei genitori, lo devo a loro e lo devo a me».

Il ragazzo, che in un frazione di secondo era diventato uomo, aveva bisogno di vedere con i suoi occhi quanto il suo cuore si rifiutava di credere e così insistette finché il nonno non si piegò al suo volere.

 

Andrew e suo nonno entrarono nella grande casa senza il minimo rumore. Anche i pesanti calzari sembravano aver intuito la gravità di quel momento e muti seguivano i passi dei due senza il minimo scricchiolio.

Gabriel era ancora tra le braccia della domestica quando i due entrarono nella grande sala da pranzo. Il bambino si mosse appena a guardare il volto di suo fratello e poi quello del nonno prima di scendere ed andare a cercare rifugio e consolazione tra le braccia di Andrew, di nuovo.

«Io e il nonno dobbiamo allontanarci per un po'. Torneremo prima di sera. Tu sii bravo con Elisabeth».
Gabriel annuì con il capo riccioluto che tante volte sua mamma aveva accarezzato con amore e tornò dalla donna che lo aspettava con le braccia aperte per invitarlo a salirle in grembo. Così detto, nel silenzio generale, Andrew si diresse nella sua stanza al piano di sopra, salendo ogni gradino della grande scala di pietra come se stesse scalando una montagna, con fatica e dolore, prese una pelliccia d'orso da portare con sé e tornò al piano di sotto.

Di nuovo, lui e suo nonno, uscirono all'esterno. Andrew afferrò le redini della giumenta che il domestico con il quale stava parlottando all'inizio di quella tremenda giornata gli aveva sellato e preparato e saltò in sella, agile e veloce proprio come gli era stato insegnato.

Uscendo dal cortile a passo lento non poté fare a meno di pensare a quando, solo qualche giorno prima, mentre la neve scendeva compiacente e amabile, si allenava con suo padre in quello stesso cortile che ora ne accoglieva i passi mentre andava a dare a lui e a sua mamma un ultimo straziante saluto.


I corpi di René ed Eddard, i genitori dei due ragazzi erano stati trasportati nella grande casa di William, il padre di Eddard.

I cavalieri che avevano trovato i resti loro e dei due servitori che viaggiavano con loro ne avevano riconosciuto le insegne e subito li avevano trasportati nella residenza del capostipite di quel clan. L'attacco era avvenuto all'interno del bosco che circondava il podere della famiglia, a poche centinaia di metri dalla radura al suo limitare dove si apriva il sentiero battuto che stavano percorrendo di ritorno da un viaggio di affari.

Quando William vide arrivare il drappello di cavalieri con al seguito due carri contenenti le spoglie dei suoi familiari e dei loro servi subito comprese la gravità della situazione: le insegne con i colori del loro cognome erano raccolte ed annodate con un nastro nero intorno all'asta alla quale erano appese e dalla quale facevano bella mostra in tempi fiorenti.

Una morsa stretta ed implacabile strinse il cuore dell'uomo stordendolo per alcuni minuti prima che questi trovasse il coraggio di scoprire i volti per accertarne l'identità. Coraggio datogli dalla disperazione di vedere brutalmente uccisa parte della sua adorata famiglia.

Quando William fu di ritorno con Andrew, i suoi domestici, come da lui ordinato, si erano presi buona cura dei corpi dei quattro cadaveri ripulendone le spoglie e ricomponendone le parti per quanto fosse loro possibile, ciononostante lo spettacolo che si presentò agli occhi del ragazzo fu devastante.

I corpi dei suoi genitori erano mutilati e straziati come fossero stati attaccati da un animale feroce che con denti da fiera e artigli da mostro ne aveva divelto le carni.
Andrew, dopo una prima fase di shock, si avvicinò cauto al padre e, non riuscendo a staccare gli occhi dal suo viso, si protese a sfiorargli la mano che sotto il tocco quasi impercettibile del giovane si girò sul dorso come se si fosse resa disponibile alla stretta di quel figlio che non avrebbe mai più accarezzato. Andrew trasalì.

Il dolore nel vedere il volto di suo padre rovinato da graffi e tagli fu enorme ma riuscì a trattenere tutta la rabbia provata in quel momento sotto una maschera di dignità e rispetto.

Lo accarezzò dolcemente come aveva fatto mille volte il suo premuroso genitore raccogliendolo da terra dopo una brutta caduta da cavallo poi baciò l'anello con lo stemma di famiglia che l'uomo portava al dito indice della mano destra e a capo chino passò oltre.

Tutta la disperazione e la sofferenza gli esplosero nel petto quando gli occhi di ragazzo si posarono sul volto di sua madre. Intatto.
Le sembianze di René erano intatte, non una ferita, non un livido. Erano belle e limpide proprio come le ricordava, solo il colore era diverso, il bel rossore delle guance aveva ceduto il posto al bianco ceruleo della morte.

"Evidentemente mio padre aveva lottato per difendere la sua amata moglie prima di essere ucciso, per permetterle di tornare dai suoi adorati figli".
Si sorprese a pensare Andrew, ed il rispetto e l'amore per il suo capofamiglia crebbero, invadendolo.

Non poté più contenere lo strazio e gettandosi addosso al corpo ormai inerme della donna le cinse con le braccia il collo sollevandole il capo, e fu allora che la vide.
Una strana ferita al lato del collo, piccola ma profonda, due fori intorno ai quali il sangue si era addensato creando un livido violaceo.

Sul corpo di sua madre c'era solo quell'unica lesione e null'altro ma ormai questo non aveva più importanza.
Andrew non vedeva i colpi che ne avevano causato la morte ma solo e semplicemente quest'ultima. La morte.

Sua madre era morta e nessuno avrebbe potuto cambiare la storia.

Tutta la purezza dell'animo di giovane ragazzo e l'amore per i suoi genitori si condensò in un urlo agghiacciante, profondo, infinito ed incontenibile la cui intensità fu amplificata da un pianto inconsolabile che sembrò durare ore.

Le donne presenti non poterono trattenersi dal piangere anch'esse e William, con ormai le tenebre nel cuore, rimase immobile e in silenzio finché suo nipote non tirò su il capo che aveva prepotentemente nascosto tra i lunghi capelli scuri di sua madre. Andrew si asciugò le lacrime e poggiò di nuovo il capo di sua mamma sul letto sul quale era adagiata, le sistemò con cura alcune ciocche di capelli che erano sfuggite al nastro nel quale erano raccolte e poi si voltò verso suo nonno pronto a seguire ogni suo comando.

Quello che William vide furono due occhi infuocati di rabbia sul volto contratto e teso del ragazzo fin troppo consapevole delle responsabilità che lo avrebbero atteso già dal primissimo sorgere del sole.

William si accovacciò inchinandosi al corpo del figlio e con tocco delicato gli sfilò l'anello, poi baciò il dorso della sua mano risistemandola lungo il suo fianco e si diresse verso Andrew. «Questo ora è tuo di diritto».

Disse l'anziano al nipote porgendogli il gioiello.
Andrew indugiò per qualche istante non sicuro di cosa dovesse fare, poi capì. Il capo famiglia, della sua famiglia, quella composta da lui e da suo fratello, ora era lui e accettando l'anello avrebbe accettato di difenderla e prendersene cura da quel momento fino alla fine dei suoi giorni.
Il ragazzo alzò gli occhi sul viso del nonno raggrinzito e solcato da rughe che non aveva mai notato prima, forse perché non erano lì prima di quel giorno, e con sguardo fiero prese l'anello e senza staccare gli occhi da quelli del suo anziano nonno lo infilò al dito.
Il rituale dell'ultimo saluto che si celebrò poche ore più tardi fu ben curato e di tutto rispetto.

I corpi sistemati su due strutture di legno furono dati alle fiamme come prevedeva la loro cultura sotto gli occhi commossi dei loro amici.

Uomini e donne si prodigavano in occhiate compassionevoli e strette di mano ma nessuno osò abbracciare Andrew come si usa fare con i bambini, lui non lo era più e non lo sarebbe stato mai più.

Appena buio, tornò a casa con l'ultima parte di famiglia che gli era rimasta e che si trasferì nel castello con tutta la sua servitù per aiutare i ragazzi a diventare uomini.
Andrew portò il suo cavallo nelle stalle e lo strigliò a dovere, lo nutrì, gli carezzò il muso e si ritirò in casa.

Nessuno parlò di quanto accaduto quel giorno e nessuno lo fece mai più, neanche quando il piccolo Gabriel, che al loro ritorno dormiva beato nel suo letto, iniziò a chiedere piangendo della sua mamma.

Presto anche lui avrebbe compreso che non c'era niente da sapere in merito se non che i loro genitori non avrebbero mai più fatto ritorno.

 

 

3

Ridestatosi da quella dolorosa e vivida memoria, Andrew tornò con la mente alla discussione con il suo scapestrato fratello. Dopo quello scambio di parole avvenuto in cucina, Gabriel senza dire nulla si era rinchiuso nella sua stanza e fu lì che Andrew lo raggiunse alcune ore dopo.

«Ancora arrabbiato, fratello?».
Chiese da dietro l'uscio socchiuso mentre con le nocche bussava alla porta.
«Posso entrare?».
Aggiunse.
«Certo ».
Rispose asciutto Gabriel intento ad affilare la sua spada.
Era seduto nel centro del letto con la sua splendida arma decorata da fregi con simboli celtici che ne benedicevano la forza ed il coraggio, e così, avvolto dalla pelliccia adagiata sull'enorme letto, vestito solo della sua pelle, Andrew lo rivide ragazzino, quando piccino e dispettoso si nascondeva sotto quello stesso letto per fuggire i doveri della casa o le punizioni che suo nonno gli impartiva a causa della sua insolenza.
Andrew sorrise.
«Che c'è? Ti faccio ridere?».
«A volte...molto».
Il maggiore dei due sedette sul letto affianco al fratello e allungando la mano sfiorò la spada che quello teneva tra le mani. «Bella quell'incisione sul fregio dell'elsa».
«Lo so fratello».
Rispose l'altro ritraendo l'arma ostentando una finta gelosia e alzandola davanti al volto per rimirarne la lucentezza alla luce delle candele che fiocamente illuminavano la stanza.
«Cos'è quella incastonata nell'elsa? Ametista?».
«Bravo fratello, vedo che gli studi condotti con il nonno hanno dato buoni frutti».

Andrew rise ancora.

Gabriel sembrava essere sempre tanto distaccato e noncurante, ma lui sapeva che il suo spirito puro e coraggioso era animato da un cuore buono.
«È ametista, si...la pietra mi è stata donata da una mia cara amica».
Così dicendo Gabriel scoppiò in una divertita risata e guardando suo fratello, ammiccando, aggiunse: «Di quelle amiche che a te mancano fratello caro e la cui compagnia, invece, ti farebbe un gran bene specialmente nelle notti di inverno».
Gabriel si alzò dal letto e dopo aver riposto la spada nel suo fodero andò al cassone di legno ai piedi del suo giaciglio ed indossò pantaloni e blusa mentre Andrew, con un leggero rossore sul viso per quanto gli era appena stato detto, a ragione, lo osservava in silenzio.
«Muoviti».
Lo incalzò lo spavaldo ragazzo.
«Andiamo alla locanda e vediamo se questa sera qualcuna delle mie amiche riuscirà ad attentare alle tue infinite virtù».
Con uno sguardo malizioso ed una scrollata di spalle infilò la porta e uscì per farne capolino un istante dopo incitando suo fratello ad uscire anch'egli.
Spintonandosi e prendendosi in giro come vecchi amici si diressero nella stanza principale per sbocconcellare qualcosa dall'ottima cena che l'ormai anziana Elisabeth e la dolcissima Meredith avevano preparato.
Dei vecchi domestici erano rimasti in pochi, alcuni morti di vecchiaia, altri andati per vie migliori aiutanti da Andrew e, delle nuove leve, Meredith era senza dubbio la più aggraziata ed elegante.
Andrew era ammaliato dai modi affabili della giovane donna e dalla gentilezza innata che albergava nei suoi occhi ogni qualvolta ne incrociava lo sguardo.

Gabriel sapeva quanto Meredith piacesse a suo fratello e non perdeva mai occasione per metterlo in imbarazzo con battute scherzose e bonarie provocazioni. Lo fece anche quella sera.

La giovane serviva la cena abilmente cucinata e Gabriel colse un fugace sguardo di Andrew che ne seguiva i movimenti con pudore e rispetto mentre lenta e attenta lei serviva le portate. «Allora, fratello...verrai con me alla taverna oppure rimarrai a casa a fantasticare al chiaro di luna sulle grazie della nostra Meredith?».

Questa volta fu decisamente più esplicito del solito, certamente più per spronare il fratello a un qualche approccio che per metterlo in imbarazzo, ma ottenne esattamente il risultato opposto a quello desiderato.

Meredith, colta alla sprovvista, trasalì per l'imbarazzo facendo cadere la brocca con il vino che aveva in mano e Andrew quasi perse il respiro per la sorpresa di quelle parole. Rimase a capo chimo finché la giovane non uscì dalla stanza richiamata dalla fedele Elisabeth che non mancò di tirare un buffetto a Gabriel colpendolo alla nuca.

«Cosa?»
Chiese questi.
«Cosa?»
Gli rifece il verso lei.
«Gabriel non imparerete mai a tenere chiusa quella bocca». Elisabeth si era presa cura dei due ragazzi da quando erano rimasti soli ed il ruolo che si trovò suo malgrado a ricoprire le concedeva una libertà di parola ed azione inimmaginabile per gli altri domestici.
Gabriel sorrise a quell'ammonizione.
Il sorriso di quel giovane era accattivante e magnetico.
Con un solo riso era capace di farsi perdonare ogni cosa. «Andiamo Andrew, volevo essere di aiuto, non ti deciderai mai a corteggiare quella ragazza».
«Non è affar tuo...muoviti».

Obiettò visibilmente imbarazzato Andrew buttando il tovagliolo sul tavolo ed alzandosi.

«Allora verrai con me questa sera...bene».
Gabriel saltò giù dalla sedia neanche avesse ricevuto la più bella delle notizie e corse a strattonare il fratello sorridendo come quello non gli vedeva fare da molto...troppo tempo.

Era un sorriso pulito, senza doppi fini, un sorriso felice.
Andrew scosse il capo compiaciuto e compiacente da e per tanta frenesia e, allontanandosi dalla tavola, lanciò un'occhiata a Meredith che a pochi passi da loro ripuliva il pavimento dal vino caduto.
Fece per muoversi nella direzione della ragazza per offrirle aiuto ma fu colto da puro terrore all'idea di incontrarne lo sguardo dopo l'imbarazzante rivelazione fatta dal suo insolente fratello pochi minuti prima.
A lui piaceva e molto, era l'assoluta e semplice verità, ma mai si sarebbe avvicinato a lei nel timore che questa potesse accettare la sua corte per obbligo e non per piacere. Un obbligo legato al suo ceto e al suo ruolo.
Decise, perciò, di lasciar perdere e di incamminarsi verso Gabriel dopo averle rivolto un semplice cenno del capo come saluto, un saluto che la fece comunque arrossire.
Quando i due fratelli giunsero alla taverna, gran parte degli ospiti era già ubriaca e Andrew ebbe una stranissima sensazione di allerta.
Sentiva i suoi sensi tesi, allarmati.
Non diede molto peso a quel sentore giudicandolo una conseguenza della tensione provocatagli dalla brutta figura fatta a cena.
Nonostante questo continuò a sentirsi teso anche dopo il secondo boccale di vino. Aveva la sensazione di essere osservato e da molto vicino, ma guardandosi intorno non notò nessuno particolarmente interessato a lui o a suo fratello che intanto brindava allegramente con tutti i presenti allungando pacche sul sedere alle opulente e disponibili cameriere.

C'era un gran vociare di uomini ubriachi e donne accondiscendenti.

Il tempo scorreva pigro tra chiacchiere, racconti di guerra più che eroici e Gabriel che si intratteneva con una delle signorine della locanda.

«Una mia amica».
Disse ammiccando al fratello un istante prima di tirare la donna a sedere sulle sue ginocchia con tanto di risatina di lei che evidentemente non aspettava niente di diverso.
Andrew sorrise della boria del fratello e ne seguì i movimenti con lo sguardo quando, con la ragazza appoggiata sulla spalla come fosse un sacco di farina, si diresse lungo le scale che conducevano al piano di sopra.
Gli intenti dei due erano più che espliciti e Andrew rivolse altrove le sue attenzioni.
Gabriel e la sua amica scomparvero dietro una delle pesanti porte di legno che davano accesso alle camere al piano superiore e Andrew tornò a parlottare con altri aristocratici di battute di caccia e del nuovo raccolto che tutti speravano sarebbe stato ricco e florido.
Qualche minuto dopo il suo interesse fu attirato da un uomo che si accingeva a salire le scale.
Sarà stato per il fatto che non fosse accompagnato da una delle cameriere o per il suo aspetto, fatto sta che Andrew sentì un fremito di allarme alla base della nuca che lo spinse a seguire il tizio con la vista.
L'uomo, alto e grosso, si spostava con passo sicuro lungo il corridoio a vista del piano di sopra quasi sapesse esattamente dove dovesse andare. Un attimo dopo fu lampante anche per Andrew che, intuendo dove lo sconosciuto fosse diretto, in un istante si alzò in piedi, scavalcò la panca sulla quale era seduto da un paio d'ore e correndo si arrampicò su per quella stessa scala.

Arrivò alle spalle di quel tizio nell'esatto istante in cui quello stava per aprire la porta della stanza in cui si era rintanato suo fratello.

Andrew non sapeva perché quell'energumeno stesse cercando Gabriel ma era certo che lo avrebbe colto di sorpresa e certamente impreparato perché in altri affari occupato.

Il cavaliere afferrò lo sconosciuto per una spalla costringendolo a voltarsi per poterlo guardare in faccia. Questi, ruotando sui suoi stessi piedi sotto la trazione di Andrew che non accennava a mollarlo, aprì la porta scoprendo allo sguardo dei due all'interno quanto stava accadendo sulla balconata.

Gabriel, disturbato dal quell'intrusione, riemerse dalle sottane della donna in modo fulmineo ma confuso, non capì subito quanto stesse succedendo ma solo che qualcuno impudentemente aveva spalancato la porta della stanza.

Alzò il capo e vide suo fratello che con sguardo altero e cuore impavido fronteggiava un tizio tre volte più grosso di lui.
In un istante, con ancora i pantaloni alle caviglie, affannandosi per ricomporsi, si diresse verso l'uscio che Andrew si affrettò a richiudergli sul muso.

Questo era quanto. Andrew che attaccava briga fuori dalla stanza e lui chiuso dentro dal fratello maggiore perché rimanesse al sicuro.
«Salute cavaliere. State forse cercando qualcuno?».

Accennò un sorriso Andrew.
«Non è affare vostro, signore».
Gracchiò il nerboruto uomo rivolgendo uno sguardo truce e minaccioso al suo interlocutore che privo di ogni timore ne sorreggeva e fronteggiava l'ira.
Non avrebbe mai permesso a nessuno di toccare suo fratello se anche non poteva escludere che meritasse una lezione tanto era pieno di sé.
Al momento non sapeva se Gabriel avesse offeso in qualche modo quell'uomo, la sola cosa che sapeva era che se suo fratello si fosse scontrato con quel gigante avrebbe certamente perso lo

scontro non potendolo fronteggiare sul piano fisico o sovrastare in astuzia, tanto si istupidiva per via dell'ira e della rabbia che metteva nella lotta e che lo privavano di ogni forma di lucidità. «L'uomo che credo voi stiate cercando è mio fratello, signore...perciò è affar mio...e come se lo è!».

Andrew non accennava ad indietreggiare e la furia sul volto del suo antagonista disegnava rughe profonde e minacciose sulla pelle cotta dal sole di quell'anonimo individuo.
«Ve lo dico di nuovo. Toglietevi di mezzo».

La voce del tizio si faceva sempre più roca e profonda. Sembrava che stesse ringhiando come un animale.
«Vi ripeto che anche se volessi non potrei. È mio fratello minore quello lì dentro».

Il colosso che aveva di fronte spostò il peso del corpo sul piede che aveva mosso indietro portandosi in posizione di attacco e sollevò il braccio destro lanciando un esplicito messaggio. Fu, allora, chiaro a Andrew e ai presenti, che intanto incuriositi avevano smesso le loro attività per osservare la lotta che si sarebbe ingaggiata di lì a poco, che la rissa stava per avere inizio. L'uomo caricò il colpo con potenza micidiale e lo sferrò contro Andrew con l'intento di colpirlo al volto. Questi, intuita la mossa dell'avversario, si spostò rapido e agile di lato lasciando scoperto il muro alle sue spalle sul quale andò ad impattare il pugno del suo avversario, pugno grande più o meno come la sua stessa testa.

Andrew si ritrovò alle sue spalle e tirandogli un calcio nel sedere lo fece sbattere rovinosamente col capo contro quella stessa parete.
Fu in quel momento che Gabriel uscì dalla stanza allacciando la blusa sul davanti e precipitandosi al fianco del fratello.

«È me che cerca?».
Andrew annuì non staccando però gli occhi dal suo antagonista che rallentato dalla mole e dal colpo subito si accingeva a rialzarsi.
«Posso pensarci io...in fondo è me che cerca».

«Ne sono certo fratellino, ma forse ora è il caso di ritirare».

«E fare la figura dei conigli?...non credo».
«Non dei conigli, Gabriel...di due uomini saggi. È grosso il triplo di noi e furente di rabbia, ci farà a pezzi. Ma cosa hai combinato?».

Gabriel allungò un'occhiata indagatrice all'uomo che, ormai in piedi, rivolgeva loro la più truce delle occhiate.
Rese gli occhi una fessura per poterlo osservare meglio senza, però, riconoscerne i tratti.

«Io non so chi sia...parola mia».
«Ottimo. Quindi ci faremo pestare senza sapere perché. Veramente una serata stupenda. Non accetterò mai più un tuo invito, fratello mio».
Il gigantesco avversario caricò come un toro verso i due che avevano le spalle rivolte alla balaustra della balconata, a testa bassa e con potenza cercò di afferrare Gabriel che, un attimo prima di essere acciuffato, fu spinto via da suo fratello che si frappose tra lui e lo sconosciuto finendo con quest'ultimo di sotto dopo aver distrutto la balaustra con la schiena.
I due precipitarono sul bancone della taverna fracassando bicchieri e brocche. Ci fu un gran rumore di vetro rotto e nessuno sentì l'imprecazione di Gabriel che cadde a terra sotto la spinta del fratello.
Il giovane si rimise in piedi e con un abile balzo saltò di sotto scavalcando quanto rimaneva della balaustra ormai in pezzi. Atterrò di fianco ai due proprio mentre Andrew, con movimenti poco convinti e scoordinati, si scrollava via di dosso il suo avversario che ruzzolò a terra.
"Andrew si muove con fin troppo fatica".
Pensò Gabriel mentre in un barlume si rese conto del perché. Nello scontro suo fratello era rimasto ferito ad un fianco dal pugnale che il suo avversario aveva estratto durante la carica, prima della caduta.
Gabriel, cieco di rabbia, sorresse il fratello che barcollava visibilmente e perdeva sangue a fiotti.

«Deve essere andato in profondità».

Gli disse con una incrinatura nella voce che ben poco gli apparteneva.
Fece cenno ad una delle cameriere di avvicinarsi con una sedia e ad uno dei loro amici di sostenere Andrew mentre quella sopraggiungeva e poi, una volta dopo averlo affidato al giovane Edwin, si voltò verso il suo avversario.
Lo sguardo animato dalle fiamme dell'odio aveva un che di animalesco e brutale mentre osservava il suo opposto rimettersi in piedi con ancora il coltellaccio da caccia tra le mani.
La vista di Gabriel scivolò lungo il corpo di quell'uomo come una mortale carezza. Ne esaminò velocemente la stazza, decisamente più grossa della sua, e la dinamicità. Era lento nei e poco coordinato, questo sarebbe stato certamente un vantaggio per lui che invece era rapido e scaltro come un lupo mosso dall'istinto e dalla fame. Una fame di vendetta che ne eccitava l'animo con un impeto mai provato prima.
Si voltò ancora un istante a guardare suo fratello sanguinante prima di agganciare lo sguardo all'arma nelle mani dell'altro che gocciolava sul pavimento della locanda mescolando il sangue di Andrew a resti di cibo e birra.
Gabriel attese che il proprio avversario si mosse, come gli aveva insegnato suo nonno prima e suo fratello poi, indugiò sui gesti del suo robusto rivale studiandone la mobilità per poterne prevedere, o almeno intuire, gli intenti.
Andrew, che osservava la scena appoggiato malamente su un tavolaccio, si sorprese di tanta ponderatezza, non immaginava che la saggezza di suo fratello fosse determinata dal terrore. Gabriel era consapevole di essere fisicamente svantaggiato e sapeva che se l'altro avesse prevalso il suo prossimo obiettivo sarebbe stato suo fratello che mai avrebbe potuto difendersi da un altro feroce attacco.
Il giovane, ancora inconsapevole della causa di una così furente rabbia, si mise in posizione di difesa e si sfiorò il fianco in cerca della fedele spada. Non la trovò al suo posto. In un attimo balenò

nella sua mente il ricordo di quanto accaduto poche ora prima quando, nella sua stanza, era intento nella cura della sua arma. Era lì che l'aveva lasciata nella fretta di uscire con suo fratello ed ora rimpiangeva e malediceva quella sciocca noncuranza.

Il gigante prese la rincorsa e si scagliò contro Gabriel che lo accolse a braccia aperte.
La furia dell'impatto fu tale che il giovane venne spinto indietro dal corpo pesante del suo avversario e terminò la sua corsa contro uno dei tavoli della taverna. Vi era precipitato a pancia in su con l'altro sopra mentre continuava a spingere e ad agitarsi tentando di liberare la mano destra, quella che impugnava il coltello e che Gabriel aveva prontamente afferrato appena gli era arrivata abbastanza vicino.

Sul volto di Andrew una ruga profonda si fece strada tra gli occhi belli ed attenti.
Temeva per la vita di suo fratello ed era tristemente consapevole di non poterlo aiutare in nessun modo.

«Fermateli».
Qualcuno urlò da dietro le sue spalle.
Una voce di donna, forse proprio di quella che si era intrattenuta con Gabriel fino a poco prima.
Nessuno intervenì.
La faccenda era privata e nessuno si sarebbe intromesso.
Intanto la lotta tra i due uomini continuava.
Il più grosso dei due, steso sopra l'altro cercava di affondare il colpo tenendo la mano destra sopra la testa di Gabriel e indirizzando la punta del coltello verso la sua tempia. Il ragazzo fronteggiava quella prepotente spinta trattenendo il polso dell'uomo con la mano sinistra mentre teneva l'altra stretta attorno all'avambraccio sinistro del suo avversario che cercava di stringere la mano attorno al suo collo.
Gabriel, se anche mosso dal furore, era in forte difficoltà.
Ad un tratto sentì il suo polso cedere, quello che lottava con la mano che teneva il coltello si piegò in modo innaturale ed una fitta di dolore gli trafisse il cervello.

La sua mente ebbe un moto di coraggio ed intimò al suo cuore di pompare più velocemente e al sangue di correre rapido lì dove ce n'era maggiore bisogno.

Il respiro si spezzò per un istante ed Andrew balzò sulla sedia quando suo fratello fu costretto a liberare la mano sinistra del suo avversario, che subito si fece più stretta intorno alla sua gola, per andare a soccorrere quel polso malandato ed evitare alla lama, che ormai gli sfiorava la tempia ferendola, di conficcarsi al suo interno.

Un rivolo di sangue scese lento e denso lungo la testa del giovane, cingendo l'orecchio ed iniziando ad impregnare il tavolo di legno sottostante.
Il suo volto diventò paonazzo e le vene del collo che si intravedevano da sotto l'enorme mano di quel gigante impazzito erano gonfie e pulsanti.

Gabriel spalancò la bocca in cerca di aria.
La mente si annebbiò per la carenza di ossigeno e in un attimo la vista diventò sfuocata.
Il giovane perse il contatto con il mondo esterno che ora gli sembrava aver rinunciato alla sua profondità ed al suo spessore apparendo, alla vista, come una serie di linee sfumate e vuote. Ruotò gli occhi per guardarsi intorno ed in un attimo che sembrò eterno incrociò i volti dei presenti atterriti e preoccupati vedendoli come disegnati su un foglio bianco, privi di una reale dimensione.
Lentamente si voltò alla sua destra e si accigliò appoggiando lo sguardo al volto di suo fratello che, con gli occhi gonfi di lacrime, lo stava vedendo morire.
''E così sarebbe questa la morte?".
Si sorprese a pensare Gabriel.
Proprio mentre si stava abbandonando a questa nuova condizione che sembrava cullarlo dolcemente, traghettando verso l'oblio il suo corpo, si ridestò sotto il richiamo vivido e feroce di suo fratello.
«Gabriel...».

Urlò a pieni polmoni Andrew ormai ceruleo in volto e privo di forze per il troppo sangue perso.

Il tono della sua voce era devastato dalla consapevolezza che ormai nulla avrebbe potuto salvare suo fratello, nessuno avrebbe diviso quei due e lui non era in grado di muovere un passo. Gabriel lesse in quel richiamo il puro terrore, il terrore di chi sta perdendo quanto di più caro gli sia rimasto al mondo e lui, questo, non poteva permetterlo.

Non poteva permettere che il suo amato fratello perdesse qualcun altro.
Un guizzo di lucidità saettò nello sguardo del ragazzo ripulendolo da quella nebbia che lo aveva avvolto quando incontrò, di nuovo, quello di suo fratello che, rinvigorito da quel lampo di acume e forza, snebbiò la mente costretta dalla peggiore delle paure e razionalmente, in un attimo, realizzò il da farsi.

Accostò la mano, che tremava per la reazione da ipotermia dovuta al dissanguamento, alla cinta di pelle che portava annodata alla vita e, puntuale e disponibile come una delle cameriere della taverna, trovò il suo pugnale da caccia. Accarezzò l'impugnatura come si fa con un compagno fedele, con rispetto e gratitudine, lo sfilò abilmente dal suo alloggio e con discrezione fece brillare la lama alla luce di una candela. Gabriel colse immediatamente quel segnale, il luccichio dell'arma gli trafisse gli occhi come il più caldo e suadente raggio di sole dopo un lungo inverno di nubi.

Raddrizzò il capo e puntò gli occhi in quelli del suo avversario. Nello sguardo la determinazione data dalla speranza di riuscire ad avere la meglio che appartiene a chi decide che non sarebbe morto in quel momento.

Il volto si rischiarò e le labbra si piegarono in un sorrisetto beffardo e provocatorio che colse sorprese l'altro.
Gabriel era pronto ad attaccare ma prima di tutto aveva bisogno di aria. I suoi polmoni ne reclamavano in gran quantità e a gran voce. Gli bruciavano nel petto ormai aridi come le terre incolte ed incendiate dal sole.

Allora contrasse i muscoli del collo con tale e tanta forza che quello sconosciuto fu costretto ad allentare la presa allargando le dita e permettendo alla gola del giovane di guadagnare spazio in modo da lasciare libera la bocca di incanalarvi un respiro lungo e rigenerante.

Non appena quella boccata d'aria raggiunse il suo petto, i polmoni iniziarono a compiere il loro lavoro efficienti e decisi ed il torace riprese il suo perpetuo movimento. Su e giù...senza sosta e senza pause. Il respiro era tornato nomale.

Il volto riprese la sua tinta usuale, sana e forte e le mani, rinvigorite dall'adrenalina e dal cuore al giusto ritmo, strinsero più forte il polso dell'altro.
Quanto accade in seguito fu una sequenza rapida ed inaspettata di eventi ponderati e ben studiati.

Gabriel, leggendo sulla faccia dell'uomo sopra di lui la sorpresa data da quella improvvisa ed inaspettata sopraffazione, ne approfittò e riuscì a spingerlo lontano quel tanto che gli bastò per infilare tra i loro stomachi il piede destro.

Caricò su quella gamba tutte le forze che gli erano rimaste in corpo e, come una catapulta ben armata, lo scaraventò lontano facendolo capitolare addosso a due uomini che osservavano la scena.

Immediatamente, preso spazio e respiro, allungò il braccio destro verso suo fratello quasi fosse in attesa di qualcosa che sapeva non avrebbe tardato molto ad arrivare.
Nello stesso istante Andrew lanciò in aria il coltello che atterrò con precisione tra le dita di Gabriel già pronte a stringerlo con forza prima di lanciarlo contro il suo avversario che si stava rialzando da terra.

Il colpo lo trafisse in pieno petto.
Quello quasi non se ne accorse. Non ebbe il tempo di realizzare quanto stesse accadendo. Non vide il colpo partire e si rese conto di essere stato ferito solo quando un bruciore dilagante iniziò a

 propagarsi da un punto preciso del suo petto invadendo tutto quanto aveva intorno.

Lo sconosciuto si portò le mani al torace, incredulo, mentre alzava il volto sul suo avversario che, fulmineo, gli arrivò addosso e con il suo stesso coltello, una volta sfilatoglielo dalla mano ormai priva di forza, gli tagliò la gola.

Andrew tirò un sospiro appena il nerboruto sconosciuto si accasciò a terra ma ciò che vide impresso negli occhi di suo fratello lo fece rabbrividire.
Gabriel aveva gli occhi vitrei, assenti.

Nessun rimorso o tormento per aver ucciso un uomo in quel modo brutale. Niente.
Anche le movenze erano fin troppo distaccate.
Gli vide sfilare il coltello dal petto dell'uomo ormai disteso a terra privo di vita, pulirlo sulla blusa e riporre l'arma al suo posto, appesa alla sua cintola.

In un attimo furono fuori dalla taverna. Nessuno parlò. Nessuno li fermò.
Andrew lanciò un ultimo, fugace sguardo all'individuo privo di vita che stava accasciato vicino l'uscio con il capo ripiegato di lato lasciando scoperto un lato del collo e fu quasi certo di riconoscere due inaspettate ferite non procurate dalla lotta appena terminata.

Due piccoli fori che sapeva aver già visto in passato ma ai quali non diede la giusta importanza preda come era, in quel momento, di uno stato di confusione e stordimento.
Gabriel caricò suo fratello su Eric, legò Luna al purosangue e salì in sella dietro Andrew.

Non una parola durante il tragitto fino a casa, solo un abbraccio intimo nel quale Andrew si sentì al sicuro e protetto, proprio come si doveva essere sentito suo fratello stretto tra le sue braccia il giorno che gli arrivò la notizia della morte dei loro genitori.

Giunti nel cortile della grande casa, Gabriel chiamò a gran voce la servitù che si precipitò all'esterno frettolosamente e alla spicciolata.

Sul volto di Elisabeth si dipinse una smorfia tesa che tramutò l'opulento viso della donna in una maschera di terrore e preoccupazione mentre la giovane Meredith, inchiodata dallo spettacolo che si trovò ad osservare, immobile sulle gambe, si portò una mano alla bocca per impedire ai singhiozzi di prendere il sopravvento. Piangeva in silenzio nel timore di scoprire morto Andrew.

Quando, mentre Gabriel ed un servo lo tiravano giù da cavallo, questi si mosse appena per il dolore al fianco, la giovane riprese a respirare e lesta si avvicinò per aiutare.
La ragazza incrociò lo sguardo di Gabriel che solo in quel momento si rese conto di quanto fosse graziosa e del perché a Andrew piacesse tanto. I suoi occhi, di un verde intenso erano puliti e profondi, dotati di una dolcezza innata, guardavano suo fratello con la compassione e l'affetto che si riserva solo a chi si ama profondamente.

«Meredith, prendi delle bende e dell'acqua...e dell'alcool...per favore».
Il tono stranamente cortese di Gabriel accarezzò con pudore la mente della giovane donna che rimase sorpresa di tanta accortezza da parte del ragazzo che mai si era rivolto a lei o ad altri con affetto o più semplicemente con buona educazione. Quello che lei ancora non sapeva era che Gabriel avrebbe protetto e amato chiunque suo fratello avesse amato.

Mentre correva nelle cucine a prendere quanto richiesto, Gabriel prese a spalla suo fratello e lo portò nella sua stanza adagiandolo sul grande letto.
Lentamente, più per il timore di scoprire la gravità della situazione che per pudore, ne slacciò la blusa e l'aprì sul davanti mostrando alle fiamme delle candele il petto ampio e robusto di suo fratello ora macchiato di sangue rappreso.

La ferita sembrava aver smesso di sanguinare ma dalle macchie sulla camicia e dalla pozza lasciata sul pavimento della locanda si era ben compreso che la lacerazione aveva permesso a molto sangue di uscire prima di decidersi a serrare l'uscio al contenuto delle capaci vene.

Gabriel si guardò intorno. Quella stanza era molto diversa dalla sua e da come la ricordava. Solo in quel momento si rese conto che era passato molto tempo dall'ultima volta che vi aveva messo piede.

Era pulita ed ordinata, ovunque lo sguardo si appoggiasse incontrava libri e volumi di ogni genere, alcuni erano aperti altri accatastati perché già letti.
L'amore per il sapere si respirava vivido e pulsante all'interno di quelle mura spigolose e fredde.

I pensieri del giovane furono presto interrotti. Non dovette attendere molto l'arrivo dei domestici.
Meredith giunse alla porta un attimo dopo che lui era arrivato con Andrew, anche se a lui era sembrato un momento eterno.

La ragazza arrossì vedendo l'uomo svestito e steso sul suo letto. Più di una volta, rassettando quella stanza, si era persa in fantasie che la vedevano distesa su quel letto tra le braccia di Andrew, scaldati dalla sola fiamma del camino mentre i corpi nudi si stringevano in seducenti abbracci.

E più di una volta era arrossita per l'impudenza dei suoi pensieri. Chiaramente ignorava che anche lui si era sovente perso in quelle stesse fantasie specialmente quando, tornando nella sua stanza, coglieva nell'aria la deliziosa fragranza di gelsomino che lei aveva l'abitudine di usare.

«Mandala via».
Disse Andrew con un filo di voce tra il sonno e la veglia.
«Chi?».
Chiese Gabriel.
«Meredith...falla uscire di qui».
Gabriel aggrottò la fronte confuso da quella richiesta di cui non comprese il senso ma che avrebbe comunque esaudita.

Si voltò verso l'uscio ma la giovane si era già allontanata lasciando sulla panca vicino l'ingresso quanto da lui richiesto poco prima.

Elisabeth, che seguiva la ragazza di un paio di passi, prese il catino e le bende e si avvicinò al letto.

Le mani le tremarono quando vide il bel corpo del suo amato fanciullo, era così che lo aveva sempre chiamato anche a discapito dell'espressione sempre seria e tesa che si portava dietro dalla nascita. Il corpo era deturpato da quella ferita che sembrava essere piuttosto profonda.

Gabriel le tolse dalle mani catino e bende e con occhi dolcissimi e grati le fece cenno di sedersi sul letto.
Quella ubbidì e si sedette vicino a quell'adorato ferito ora percorso da brividi e tremori.

La donna, ormai anziana, allungò la mano per accarezzare la fronte imperlata di sudore del ragazzo e lo rivide piccino quando, sofferente per la febbre, si accoccolava sul fianco di lei fino a svenire addormentato.

Elisabeth aveva scelto di non prendere marito per non lasciare i due bambini rimasti orfani e di non avere figli, perché loro erano i suoi figli da quando René se ne era andata ed ora vedere uno di loro ferito e sofferente le stringeva il cuore in una morsa dolorosa ed opprimente.

Andrew percepì appena la carezza della sua vecchia balia e a quel calore e a quell'affetto rispose con un sorriso stentato. Improvvisamente dimostrava il doppio dei suoi anni.
Il volto bellissimo era segnato da solchi profondi che, spediti ed implacabili, scendevano dai lati del naso dritti al mento incorniciando le labbra morbide, ora serrate in una smorfia di dolore, in una gabbia di sofferenza e delirio.

La febbre cresceva e tutto il corpo si coprì di un leggero velo di sudore che ne rese lucida la superficie.
Mentre Gabriel armeggiava con bende e alcool per detergere e pulire la ferita cercando di medicarla al meglio, suo fratello si voltò a guardarlo e, illuminato dalla tiepida luce delle fiamme del camino che molli ed indolenti continuavano il loro lavoro, vide i segni che portava il suo corpo.

«Il tuo collo...».
Gli disse in un ansito.

«Cosa?».
Chiese l'altro distratto portandosi le mani là dove era caduto lo sguardo di Andrew.
Appena ne sfiorò la cute un brivido di fastidio lo pervase.
I segni lasciati dalla stretta dell'uomo con il quale si era scontrato erano violacei e dolenti ma lui, fino a quel momento, si era completamente dimenticato di loro e del dolore che gli procuravano.
«Non ha importanza».
Disse a suo fratello.
«Ora pensiamo a te».
Il tempo nella stanza sembrò dilatarsi, estendersi all'infinito ed il pesante silenzio era infranto solo dal respiro affannato di Andrew fatto di sibili e, a volte, troppo lunghi sospiri.
L'anziana donna, ancora seduta al suo capezzale, tratteneva a stento le lacrime ad ogni lamento del giovane uomo che si faceva impossibile da trattenere quando suo fratello gli puliva la ferita trasformando quei gemiti in una stilettata al cuore della donna.
In quella casa c'era stata fin troppa sofferenza e mai avrebbe immaginato di trovarsi ad accudire uno dei ragazzi, tanto meno Andrew che, attento e ponderato per natura, non avrebbe mai incappato in qualche colpo di testa.
Aveva sempre immaginato, nei suoi peggiori incubi, che se ci fosse stato un lutto improvviso sarebbe stato quello di Gabriel che, folle e sfrontato, spesso si metteva nei guai.
Con tanti e tali pensieri nella testa la domestica, involontariamente, si voltò ad osservare il ragazzo che si affannava sul corpo ceruleo del fratello.
Questi sentì il peso di quegli occhi saggi ed affettuosi sulle spalle ed alzò il capo con l'animo sospeso tra il senso di colpa ed il terrore.

Gabriel era consapevole che se suo fratello si trovava in quella condizione era solo per aver difeso lui che, certamente, anche se ora non ne aveva memoria, doveva pur aver combinato qualche guaio terribile per scatenare le ire di quello sconosciuto che li aveva aggrediti alla locanda.

Mentre continuava a medicare il suo ultimo brandello di famiglia si sforzava di ricordare i tratti del viso di quell'individuo elencandoli nella sua mente con precisione di dettagli.
Fronte ampia, i capelli rossicci ed arruffati che ricadevano disordinati sul viso squadrato indurito dal naso schiacciato, forse per una precedente rottura dell'osso che ne faceva da sostegno, le labbra sottili serrate in un ghigno forzato.

Nulla in lui gli ricordava niente. Non un luogo. Non un evento. Niente.
Gabriel non riusciva a ripescare nella sua memoria il ricordo di quel tizio.

Andrew si scostò di scatto cercando di spostare la ferita da sotto le mani di Gabriel quando questi vi versò sopra l'alcool per detergerla.
Il giovane fratello gli accarezzò il volto con gentilezza rendendosi conto che la temperatura dell'altro era salita ancora. «Provate a fargli bere questo».

Una voce aggraziata e sottile tagliò il silenzio con pudica gentilezza.
Meredith dritta come un fuso si stagliò sulla porta portando con sé un tazza fumante.

Gabriel ed Elisabeth si voltarono a guardarla e Andrew alzò appena il capo.
Leggendo la sorpresa e l'incredulità sul volto di tutti e tre la giovane si affrettò a spiegare.

«È un infuso di tiglio, fiori di sambuco e salice bianco».
La voce le morì in gola fino a rimanere un delicato soffio, allora se la schiarì e continuò con maggiore sicurezza muovendo alcuni passi all'interno della stanza.

«È un buon rimedio contro la febbre. Gli darà un poco di sollievo».

Gli occhi volarono veloci lungo le linee snelle del corpo di Andrew fino a raggiungerne il volto che, se anche sofferente, era comunque ed innegabilmente bello.

I due si guardarono per un istante prima che quello, stringendo la mano del fratello, gli facesse cenno di avvicinargli la bevanda preparato dalla giovane domestica.
Il ragazzo ubbidì e si avvicinò a Meredith che subito abbassò il capo in segno di rispetto e sottomissione.

Gabriel con mano delicata la prese per il mento e le fece alzare la testa inchinando lui la sua per mostrarle la sua gratitudine. «Vuoi, per favore, pensarci tu cara».
Le disse sorridendo appena.

Lei senza dire una parola si accostò al letto e, tirandosi su la veste, si sedette sul bordo del giaciglio facendo attenzione a non versare l'infuso.
Poggiò la grande tazza sul comò che aveva proprio di fianco e con calma e cautela sollevò il capo di Andrew e, con l'aiuto di Elisabeth, il busto per poter scivolare alle sue spalle e farlo appoggiare a sé.

Le spalle di lui contro il petto morbido ed accogliente di lei.
Lo cinse come si fa con un bambino che va nutrito, con materno affetto ed attenzione estrema.
Appoggiò il suo capo alla propria spalla e, sostenendolo con il braccio, lo fece bere accostandogli la tazza alla bocca con cura. Stretti in quell'abbraccio tutta l'intimità che i due avevano fuggito fino a quel momento esplose con impeto e Andrew si abbandonò a lei senza difese in cerca di calore ed aiuto.
Quando Gabriel ed Elisabeth uscirono dalla stanza i due ragazzi erano ancora stretti in quella posizione e, lanciando loro un ultima occhiata, Gabriel avrebbe giurato di aver visto Meredith accarezzare il petto di suo fratello.
Tutto il pudore e l'inesperienza della ragazza avevano ceduto il posto al desiderio e all'ardore.

Nel terrore di perderlo per sempre, Meredith aveva trovato il coraggio di lasciar trasparire i suoi veri sentimenti condensandoli in quelle carezze fin troppo impudenti.

Andrew sentiva le mani di lei addosso e ne godeva il tocco ed il tepore. Avrebbe voluto legarla a sé in un abbraccio ma si limitò, privo di forze, a prenderle la mano e stringersela al petto poco prima di sprofondare in un sonno profondo.

Lei non lo lasciò andare per tutta la notte.
Notte che trascorse tranquilla avvolgendo nel suo manto consenziente Meredith e Andrew, abbracciati e finalmente consapevoli dei loro sentimenti, e Gabriel accovacciato fuori dalla porta della camera di suo fratello, immobile, avvolto nella pesante coperta che Elisabeth gli aveva lasciato scivolare sulle spalle prima di ritirarsi nella sua stanza.

 

 

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