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SOLO UN ASSAGGIO

PER SOLLETICARE LA VOSTRA CURIOSITÀ VI LASCIO I PRIMI TRE CAPITOLI DI "EMMA".

1

 

Oscurità.
Silenzio.
La sola luce che i miei occhi riescono a percepire è quella che prepotentemente si fa strada tra le alte e folte fronde degli alberi secolari che mi circondano.
Si tratta di gigantesche querce dal tronco solido e nodoso.
Si ergono superbe e nobili, come giganti incantati consci della loro immortale ed immobile possenza.
La corteccia fresca e umida al tatto, come una corazza intagliata da centinaia di anni, avvolge e protegge l’intima parte dell’albero che sembra avere al suo interno una forza vibrante di vita.
Sento lo scorrere della linfa sotto le mie mani. Le mie dita lunghe e affusolate accarezzano con curiosità crescente il profilo del tronco come se potessero, in questo modo, decifrarne il più nascosto segreto.
Il solo rumore che sento è lo scricchiolio delle foglie secche, che cedono fragilissime sotto l’incedere sicuro dei miei passi.
Posso udire il sussurro degli elementi della natura durante il mio passaggio, suona alle mie orecchie quasi come un incoraggiamento a continuare la mia corsa.
Riesco a godere profondamente del suggestivo panorama.
Il delicato bagliore che filtra tra i rami crea accattivanti giochi di luce. I raggi del sole tiepidi nel calore e nella luminosità sembrano argentee lame che dal cielo, penetrando il fitto fogliame, trafiggono la terra.
Gli alberi robusti e ricchi di rami e foglie danno vita, unendosi sopra la mia testa, ad un intreccio tanto fitto ed intricato da impedirmi di vedere il cielo.

Il profilo di ciò che mi circonda e mi avvolge sembra perdersi nello spazio, come sfumato nei tratti da un capace pittore con lo scopo di far perdere allo sguardo dell'affascinato spettatore il confine tra realtà e sogno.

La timida nebbia che avviluppa i miei piedi conferisce al bosco un aspetto surreale...effimero...suggestivo e l'aria madida che bagna i miei vestiti ed i miei lunghi capelli odora di legno e fango.

Un alito di vento fresco agita il paesaggio intorno scompigliando la mia chioma ribelle e rigenerando i miei pensieri.
Mi fermo nel cuore di questo magico posto. Osservando quanto ho intorno gioisco intimamente di ogni angolo che incontra il mio sguardo. Respiro a fondo gli odori del bosco che risvegliano i miei sensi ormai sopiti da troppo tempo.

Brandisco una spada con l’elsa finemente lavorata ed impreziosita da una pietra di ametista incastonata proprio nel mezzo di un elaboratissimo fregio del quale non riesco a distinguere chiaramente le linee.

Nonostante la sua lama misuri oltre un metro, la tengo tra le mani con sicurezza e senza fatica mentre corro agile e veloce tra gli alberi passando loro accanto senza neanche vederli realmente.

Mi perdo completamente nella pace secolare delle solenni querce tra le quali sfreccio abilmente priva di peso, quasi fossi un entità incorporea ed effimera.
Sono arrogante nei movimenti. Vedo il mio volto candido e fiero. Un ghigno beffardo disegna sulle mie labbra un accattivante sorriso, mentre lo sguardo vivace tradisce l’insolenza e l’inesperienza della mia giovane età.

Mi fermo solo per un attimo a guardare alle mie spalle e beneficiare di tanta forza per poi tornare a scivolare via rapida al di là del fiume che, mormorando vivo e dinamico, attraversa il bosco.

Il profondo silenzio, rotto solo dai rumori della natura, rende il paesaggio ancor più suggestivo.

Una forza seducente e magnetica mi spinge ad andare avanti nella mia corsa. Sempre più veloce. Come se qualcosa o qualcuno mi attirasse a sé.

Il sangue scorre fluido e rapido nelle mie vene irrorando ogni centimetro del mio corpo di forza e nutrimento.
I muscoli tesi rispondono fulminei ad ogni mio comando.
Il respiro si fa corto.

Il battito del cuore incalzante e potente.
I sensi allertati pronti a reagire.
Tutto il mio corpo esprime forza, potenza e prontezza.
Come il più pericoloso dei predatori nulla sfugge al mio controllo e nulla può sorprendere il mio istinto e le mie difese. Nell’animo si fa strada una sensazione mista di paura ed eccitazione, l’adrenalina mi invade stordendomi, il mio corpo freme esaltato da tanta sicurezza.
Ogni parte di me è in trepidante fermento.
E tutto intorno è immobile, quasi irreale nella sua fissità.
Così come il creato intorno a me, anche i miei pensieri sono serenamente fermi, fissi, immobili come in una fotografia.
Posso osservarli e, a ritroso, riviverne ogni passaggio.
Tutto mi trasmette calma.

In un attimo si ritrovò in un bagno di luce con un rumore fastidiosissimo nelle orecchie.
La sveglia la stava riportando dispoticamente alla realtà della sua stanza mentre Gastone, dopo essersi fatto strada tra le coperte che lei aveva tirato su fino a coprire il volto, aveva preso a leccarle le guance reclamando la sua colazione.
La stanza non era molto grande.
Arredata in modo semplice, lasciava un’intera parete alla grande finestra ad arco che si affacciava sul giardino del palazzetto nel quale trovava spazio il piccolo appartamento in cui viveva.
Pochi mobili riempivano lo spazio rimanente.

Il letto in ferro battuto si trovava nel centro della stanza.

Sulla parete opposta alla grande finestra c’era l’armadio e un comò di antica fattura affollato da oggetti di ogni tipo e utilità.
Il caos ed il disordine governavano incontrastati i pochi metri quadri di questo suo piccolo, privatissimo mondo.
La luce filtrava dalle imposte ancora serrate illuminando fiocamente le tante foto appese alle pareti e la pila di diari disordinatamente accatastati su un piccolo tavolo ad angolo incastrato di fianco all'armadio.
Un nuovo giorno aveva inizio e con esso finiva il suo sogno.
Il senso di appartenenza e sicurezza che l'avevano guidata durante il suo stravagante viaggio onirico, lasciava indegnamente spazio all’incertezza e all’incapacità di sentirsi parte di questo mondo che accompagnavano le sue giornate da sempre, o almeno, da quando aveva memoria di sé e dei suoi pensieri. Dopo aver goduto ancora un po' della serenità eco del suo sogno fantastico ed aver gongolato delle fusa e delle coccole di Gastone si decise ad alzarsi.
«Su, mio bel gattaccio...di filato in cucina...».
Disse Emma, cercando di persuadersi ad abbandonare il calduccio del suo letto, muovendosi lenta e sorniona fuori dal soffice piumone nel quale era avvolta.
In un secondo Gastone fu giù dal letto agile e fulmineo.
Quel gatto era dotato di un’eleganza ed un carisma inusuali anche per un felino tanto da calamitare l'attenzione di chiunque entrasse in quella casa. Emma ed i suoi amici passavamo ore ad osservarlo, curiosi.
Il modo in cui si muoveva sembrava non avere tempo, pigro e sinuoso Gastone era il gatto più longevo che avesse mai incontrato, era con lei da tutta la vita.
Aveva il pelo completamente nero mosso da sfumature di blu, lucido e morbidissimo, un muso delicato, lunghissimi baffi e due occhi gialli con dei disegni d’oro che gli conferivano uno sguardo unico ed affascinante.

Alzatasi dal letto e dopo aver servito a sua "Gattosità Gaston" la colazione, corse in bagno per infilarsi sotto la doccia.

Il rito del mattino la metteva di buon umore. Doccia, coda per i capelli e caffè. Tutto prendeva il suo posto eseguendo questi semplici gesti.

L’ordine delle cose che popolavano il suo mondo era per Emma importante, le permetteva di mantenere il controllo delle situazioni e delle sue emozioni.
Istintiva ed impulsiva per natura, aveva imparato, con il tempo, a domare questo aspetto del suo carattere favorendo ad una sempre maggiore razionalità di gestire la sua vita.

Ciò le era possibile, però, solo se riusciva a prevedere in una qualche maniera gli eventi o le conseguenze delle azioni sue e degli altri. Questo era il motivo per cui aveva bisogno di ordine e ordinarietà, per non essere mai colta di sorpresa e per non perdere mai il controllo come già le era successo troppe volte in passato.

In sostanza, per non permettere al sangue e al cuore di gestire la sua vita.
Entrando in bagno con la coda dell’occhio vide la sua immagine riflessa allo specchio.

Si fermò per qualche istante ad osservare se stessa.
Il confronto con lo specchio cancellò definitivamente il ricordo del sogno fatto la notte precedente, e la donna forte e sicura di sé che ne era protagonista cedette il passo a lei, Emma, un metro e sessanta circa, poco più di 55 chili. Non proprio il ritratto della potenza e dell’imprudenza.
Il fisico era minuto e asciutto, l’ovale del viso pallido e liscio, incorniciato da una cascata di capelli scuri lunghi fino a sfiorarle le spalle, era troneggiato da due occhi grandi e curiosi. Lo sguardo reso insolente dalle lunghe ciglia scure diventava spesso complice del sorriso furbo. Le labbra erano carnose e costrette perennemente ad un broncio che conferiva loro un fare capriccioso che le avrebbe potuto permettere di conquistare il mondo se solo lei fosse stata consapevole della sua irresistibile sensualità.

Emma aveva una bellezza semplice ma accattivante.
Mentre era sotto la doccia, il getto caldo le scorreva lungo le spalle candide e delicate contornando con un rivolo d’acqua il tatuaggio che un paio d’anni prima si era fatta fare.

Quel tatuaggio le ricordò il fregio inciso sull’elsa della spada che impugnava nel suo sogno anche se non era ancora riuscita a focalizzarne con precisione i dettagli.
Scivolando in basso sui giovani seni sodi, il ventre piatto ed i fianchi morbidi, il getto d'acqua calda finì la sua corsa lungo le gambe snelle.

Sfiorandosi con le dita Emma si fermò a giocherellare, persa nei suoi pensieri, con il ciondolo di ametista che portava sempre al collo. Non poté fermare uno di quei pensieri che corse rapido ed implacabile al ricordo della sua mamma.

Emma aveva perso entrambi i genitori, morti giovanissimi, quando lei era solo una bambinetta e conservava pochi ricordi del tempo trascorso con loro, ricordi che andavano affievolendosi con il passare degli anni.

Questo era il motivo che l’aveva spinta a scrivere tutti quei diari. Vi annotava sopra ogni ricordo, o frammento di ricordo, che le veniva alla memoria che potesse raccontarle dei suoi genitori.
Vi scriveva di lei e di quanto le accadeva e da qualche tempo aveva preso a prendere nota anche di quei sogni che si facevano sempre più frequenti e dettagliati.

Aveva chiaramente impressa nella mente l’immagine di sua mamma con la pietra di ametista al collo che, stringendola tra le braccia, le raccontava storie fantastiche di eroi e principesse coraggiose.

Questo lo ricordava bene. I baci e le carezze della sua mamma e del suo papà quando, persa nel primo sonno della notte, ascoltava distratta i loro racconti.

Ancora una volta fu riportata al presente da un richiamo inconfondibile.

«Mio amor!».
Serena la chiamava dalla cucina esortandola a muoversi, il tempo passava e loro come al solito erano in ritardo per le lezioni.

«Mio amor, ancora sotto la doccia a fantasticare. Muoviti!».
Era il passatempo preferito di Emma, fantasticare, lo faceva in continuazione, ovunque e comunque.
Si perdeva nei suoi pensieri e nei suoi racconti.
Tutto accadeva nella sua testa incurante di quanto le avvenisse intorno e di dove si trovasse.
Improvvisamente il suo sguardo si faceva assente, un ghigno furbo le si disegnava sul volto e la sua fantasia popolata da streghe, vampiri e donzelle indifese prendeva a lavorare.
Serena questo lo sapeva bene.
Erano amiche da tutta una vita e vivevano insieme da sempre ma solo da un paio d’anni, da quando appena maggiorenni avevano lasciato la casa famiglia che le ospitava, si erano trasferite a Zurigo, ancora una volta insieme.
Anche Serena non aveva una famiglia. Nessuno era esattamente a conoscenza di quali fossero le sue origini, tanto meno lei che era stata abbandonata piccolissima.
In sostanza, erano l’una la famiglia dell’altra.
Diverse sotto molti aspetti, le due ragazze si completavano in ogni cosa.
Serena era solare e sempre sorridente. Aperta al mondo e bellissima aveva lunghissimi capelli biondi mai in disordine che facevano da cornice al volto appena allungato ed elegantemente arricchito dagli zigomi carnosi che le davano un aspetto signorile in qualsiasi situazione.
Sicura nei movimenti e certa del suo essere al mondo era attenta ad ogni suo cambiamento.
Era alta e snella, il fisico modellato dal continuo allenamento e le linee sinuose dei muscoli sodi la rendevano fiera ed impeccabile. Serena faceva yoga, jogging e tutto quanto le permettesse di essere a contatto con la natura dalla quale era incantata e della quale era incantatrice.

Emma, dal canto suo, flemmatica come il suo gatto, con i capelli scurissimi e gli occhi grandi, lo sguardo romantico e sognante, passava il tempo libero che aveva leggendo e scrivendo. Aprendo la porta del bagno, Emma si ritrovò la bella bionda davanti con quel sorriso accattivante che sempre metteva allegria e gli occhi da lince di lei fissi addosso.

Gli occhi di Serena erano straordinari, avevano una particolarissima forma allungata ed il colore cambiava con il cambiare delle stagioni, passando da un caldo color miele in estate ad un più algido arancio in inverno. Le ciglia chiarissime quasi bianche facevano ancora di più risaltare l’iride ambrata non celandone affatto la superficie.

Di ritorno dal suo buongiorno al sole, Serena era raggiante ed aveva in mano il tanto desiderato caffè Starbucks senza il quale Emma non sarebbe arrivata neanche alla porta d’ingresso.
Con la stessa rapidità con la quale Gastone era saltato giù dal letto, Emma afferrò l'incarto del caffè e sorridendo sorniona sprofondò nella vecchissima poltrona della sala da pranzo tirando una lunga sorsata dal bicchiere fumante.

Il resto della casa, così come la stanza di Serena, aveva le pareti bianche ed un arredamento essenziale.
Nella sala la facevano da padrone la vecchia poltrona di Emma e un divano degli anni '70 che le ragazze avevano trovato in un mercatino dell’usato qualche settimana dopo il loro arrivo in città.

I libri che affollavano gli scaffali dell’unico mobile della stanza erano la firma della presenza di Emma in quella casa così come i tanti cestini di fiori ed erbe essiccate erano quella di Serena. Serena adorava tutto ciò che era legato al potere benefico delle piante, ne era quasi maniaca, non faceva altro che propinare ad Emma tisane ed infusi.

Impiegava gran parte del suo tempo libero studiando come produrre rimedi naturali a qualsiasi tipo di disturbo o problema e la casa, spesso, assumeva l’aspetto di un piccolo laboratorio erboristico con ampolline e alambicchi ovunque e un odore, a volte nauseante, di piante e fiori.

«Buongiorno a me!».

Sentenziò Emma sorridendo con gli occhi socchiusi prendendo un altro sorso di caffè mentre l’amica, con lo sguardo incalzante, la esortava a vestirsi ed uscire di corsa.
La pigra moretta sbuffò un poco lamentandosi di tanta fretta ma finì il suo caffè e si chiuse in camera sua.

Emma si vestì in un attimo. Subito furono fuori.
La giornata prometteva sole, finalmente.
Gli alberi del giardino del palazzetto in cui era l’appartamento delle due ragazze, seppure ormai quasi spogli, si ergevano trionfanti e forti riuscendo a creare giochi d’ombra sull’erba verde chiaro sottostante.
Era stata un'estate breve quella appena trascorsa, poco caldo e tante serate fresche, ma oggi sembrava esserci un timido sole che faceva capolino da dietro le sporadiche nuvole che si rincorrevano in un cielo sereno.
Il tepore dei raggi del sole sembrava quasi inappropriato per quel periodo dell’anno. Era, ormai, quasi metà ottobre.
L’aria sembrava borbottare qualcosa, era frizzante e leggera ed un piacevole vento raccoglieva in un instancabile mulinello le foglie cadute facendo danzare i lunghi capelli delle due ragazze appena scese in strada.
Si preannunciava una giornata da ricordare.

 

2

 

La mattinata trascorse come sempre...a rilento.
Emma proprio non riusciva ad appassionarsi alle lezioni di latino nonostante fosse la lingua originaria del suo tanto amato italiano. Le trovava noiose ed antiquate. Non amava avere a che fare con cose antiche e fuori corso e detestava quelle che erano considerate le lingue morte.
"Se sono morte ci sarà un motivo. Sono imparlabili".
Continuava a ripetere in silenzio nei suoi pensieri mentre scarabocchiava distrattamente il suo blocco per gli appunti. Quando tornò alla realtà si accorse di aver disegnato il profilo della spada che teneva tra le mani nel suo sogno e di aver raffigurato il fregio delineandone i contorni perfetti e puntuali. Non diede molto peso a quanto la sua mano aveva disegnato. Tutto andava bene pur di allontanare mente e orecchie dagli sproloquio del docente universitario che esaltava l'eleganza e la raffinatezza della lingua latina e del memorabile Impero Romano.
Solo in quel momento Emma tornò a prestare attenzione al suo professore, solo quando questi iniziò a parlare della sua affascinante Roma Imperiale.
Emma era cresciuta a Roma la città che ancora oggi considerava la più bella al mondo, ricca come era di tutte quelle sue affascinanti contraddizioni.
Mille e mille anni di storia si respirano passeggiando per i viottoli ottimamente conservati dei Fori Imperiali.
Si possono incontrare, gironzolando per le stradelle di ciottoli, buffi personaggi che per pochi euro si offrono di fare da guida turistica arricchendo le spiegazioni storiche con curiosi e, a dir poco, fantasiosi aneddoti sulla Roma Imperiale.

Anche solo bere una birra al Circo Massimo diventa un esperienza ricca di emozione e significato se ci si ferma un solo istante a pensare a quanta storia é, perfino ora, presente in quel posto.

Il Sacro ed il profano vanno a braccetto per i viottoli di Trastevere.
Le statue di San Pietro e il colonnato sembrano stringere in un caldo abbraccio i turisti che passeggiano curiosi.

Con Serena, Emma aveva speso un tempo infinito affacciata al parapetto del ponte di Castel Sant’Angelo ad immaginare quali e quanti segreti fossero chiusi tra le mura ormai silenti di quella magnifica fortezza mentre il profilo delle possenti mura di cinta si specchiava dondolante nelle acque del biondo Tevere. Avevano riso e scherzato curiosando tra le bancarelle lungo gli argini del Tevere in estate, flirtato con i ragazzi il sabato sera bevendo tequila. Avevano pianto per le guerre perse e gioito per quelle vinte, sempre insieme come unite da un doppio filo che le rendeva inseparabili, come sorelle.

Il dolore di una era il delirio dell’altra. La felicità della prima era la serenità della seconda.
Per questo motivo quando Emma decise di lasciare Roma, perché spinta da un qualche inspiegabile moto interiore, Serena non poté fare altro che seguirla, era impensabile che si separassero.

La scelta ricadde su Zurigo per il fascino gotico che questa città possiede.
Emma ne fu subito affascinata e catturata.
Una perla nel centro dell'Europa ricca di suggestioni e di mille stimoli.

Ad Emma piaceva passeggiare senza meta nel centro storico della città, vivo e stimolante in ogni momento della giornata anche se l'attimo del giorno che maggiormente amava era il tramonto.

Adorava il crepuscolo, quando il chiarore della luna che sta timidamente spuntando, riflettendosi sul fiume che attraversa tutta la città, la tingeva di tinte tenui, sfumature di grigio ed argento, conferendole un fascino enigmatico e mistico.

I pallidi lampioni iniziavano discreti il loro lavoro riflettendosi anch’essi nel Limmat che continuava a scorrere pigro e silenzioso mentre, poco distante, i locali cominciano a riempirsi di rumorose comitive e giovani coppie che strette in romantici abbracci andavano a passeggio godendo della complice luna.

In Niederdorf, il centro storico della città, il suo cuore pulsante, le cucine dei ristoranti iniziavano ad effondere nei vicoli gli odori ed i profumi di mille cucine dal mondo e le persone si riversavano nelle stradine e nelle piazzette per ascoltare gli artisti di strada suonare musica di ogni genere.

Il chiacchiericcio e le risate si diffondevano propagandosi in ogni angolo ed in ogni viottolo rendendo magicamente vivo e dinamico l'intero quartiere. Era tutto un brulicare di attività. Ovunque potevi incontrare gente che beveva e ridacchiava serena.

Tutta questa allegria e spensieratezza era contagiosa per Emma che ne godeva di riflesso e, passeggiandovi attraverso, si allontanava dalla sua insana malinconia abbandonandosi ad un più sano senso di tranquillità.

Il dolore e l'inquietudine erano una parte viva ed intensa della sua vita, conviveva con essi da sempre e, a volte, ne sentiva la mancanza, così se ne andava a passeggiare lungo il lago, in inverno, quando non c’era quasi nessuno e poteva dare libero sfogo a tutte le sue fantasie, alle sue mille malinconie.

Si sedeva sola soletta su una panchina ad osservare il moto molle delle increspature che l'acqua del lago creava infrangendo sugli immobili scogli e si ciondolava tra i suoi pensieri.
Tutta la fissità di quei movimenti continui e sempre identici le metteva tranquillità.

Zurigo si muoveva in una apparente lentezza, sembrava una città addormentata ed immutabile, in realtà questa fitta coltre di staticità nascondeva un cuore dinamico, brillante, ricco di attività e cosmopolita che la rendeva unica ed imprevedibile...proprio come era Emma.

Sotto la sua maschera di autocontrollo e indolenza si celava un animo tumultuoso ed irrequieto.

Calma apparente in un turbinio di sensazioni.

Durante le pause tra una lezione ed un'altra gli studenti si riversavano rumorosamente in una delle tante caffetterie che circondavano l’università.
Era tutto un chiacchiericcio ed Emma, a volte, aveva la netta sensazione di riuscire a sentire distintamente la risata di Serena dall’altra parte del locale mentre mandava in delirio il barman con il suo sguardo accattivante e i modi gentili, mentre altre volte era persuasa di comprendere chiaramente le parole che si scambiavano ragazzi a metri di distanza da lei.

Che fosse solo una fantasia...?
Se lo era chiesto più volte senza indagare in modo approfondito in merito agli strani scherzi che la sua immaginazione le giocava ogni tanto.
Semplicemente le piaceva godere della vivacità di questa città.
Il suo fervore e le mille cose nelle quali veniva sempre coinvolta le permettevano di tenere la mente lontana dalle sue fantasticherie.
Emma e Serena erano sedute ad un tavolo quando con non poco chiasso il resto della compagnia entrò nel locale.
Il momento era giunto ed Emma ne era consapevole, non sarebbe potuta sfuggire al suo destino.
Mentre beveva il cappuccino che Serena le aveva portato dopo aver smesso di torturare il malcapitato barista, gli altri amici del gruppo si erano radunati con decine di propositi per le sera del suo compleanno.
«Potremmo organizzare una cena a tema».
Aveva suggerito Martha con un entusiasmo fuori misura mentre le schioccava un sonoro bacio sulla guancia.

Martha organizzava spesso eventi con un tema guida, indimenticabili le sue "100 cene con cappello".

Sceglieva un periodo storico e seppure il menù fosse sempre lo stesso, pizza e birra, obbligava i suoi amici ad indossare cappelli attinenti all’epoca da lei scelta.

Scene ridicole si creavano ogni volta, ma ogni volta la cena era riuscitissima.
Martha adorava fare queste cose ed Emma adorava Martha per cui era disposta ad assecondare ogni stramba idea le avesse proposto.

«Ciao Martha».
Le disse Emma sorridendo dei suoi modi frizzanti ed invasivi. Seppure lei avesse sempre detestato le rosse per un’inspiegabile e viscerale antipatia, il color carota dei capelli di Martha, che ne confessava le origini scozzesi, accompagnato dalle molte lentiggini che le contornavano due vispi occhi nocciola, la rendevano simpatica agli occhi di Emma e non solo ai suoi. "Martha ha un buon odore".

Pensò Emma appena la ebbe vicina.

"Sa di menta e cannella".
In realtà le sembrava di iniziare a sentire forte ed energico l’odore di tutti i suoi compagni, non solo quello di Martha e questo la colse di sorpresa perché, seppure scettica e titubante, ebbe la sensazione che il suo olfatto fosse improvvisamente diventato più efficace.
Subito qualcuno da dietro le sue spalle ironizzò.
«Una cena col morto...in fin dei conti sarà la notte di Halloween».
Martha incenerì il povero malcapitato con uno sguardo infuocato.
A parlare era stato Dim. Dimitri in realtà, un ragazzo venuto dalla gelida Russia per seguire un corso sul folclore locale che gli sarebbe servito per guadagnare i crediti necessari per poter discutere la sua tesi in antropologia.

Dim era di bell’aspetto, il fisico robusto e scolpito dalle tante ore spese in palestra contrastava con il pallore del viso i cui tratti delicati mettevano in risalto il blu intenso dei suoi occhi.

Emma, intanto, continuava a sorridere imbarazzata da tanto interesse seppure avrebbe voluto decisamente essere altrove. Avrebbe desiderato di certo essere lontana dall'attenzione del mondo perché, anche se si trattava del suo micro-mondo, esserne la centro la metteva fortemente a disagio.

Molti altri commenti e suggerimenti seguirono quello di Dim e Emma non poté fare altro che ammiccare confusa da tutto questo clamore.
Non amava attirare l’attenzione su di sé e in questo momento, suo malgrado, tutti gli ospiti della caffetteria erano rivolti verso il loro tavolo fin troppo chiassoso.

Emma continuava a guardarsi intorno con le guance rosse per il disagio distribuendo sorrisi timidi, quasi volesse scusarsi, a tutti coloro di cui incontrava lo sguardo.
Dotata di una bellezza ricercata aveva sempre tentato di rendersi invisibile agli occhi del mondo. Con scarsi risultati.

Era brillante ed intelligente e per quanto cercasse di celare la sua beltà era carismatica e magnetica. Con il suo incedere lento e silenzioso, elegante seppure, a tratti, insicuro nelle movenze, attirava, a dispetto di ogni suo desiderio, l’attenzione dei presenti ovunque lei fosse.

Nonostante fosse a conoscenza dell’effetto che avevano il suo sguardo profondo e il suo sorriso vivace sulle persone, ancora non riusciva a sentirsi a proprio agio con la gente.
Aveva sempre la sensazione di esser fuori posto ed ora tutte queste attenzioni la mettevano in difficoltà.

Non poté comunque sottrarsi dall’esaminare tutte le possibilità che le furono proposte dai suoi amici e dal godersi tutto l’affetto che provavano per lei.
Malgrado il chiacchiericcio e la confusione che aveva intorno si rese presto conto che c’era qualcun altro nella caffetteria

particolarmente interessato a quanto stava accadendo al suo tavolo.

Emma ne sentiva forte la presenza, avvertiva due occhi puntati addosso e questo aumentava il sentimento di fastidio ed imbarazzo nel quale era precipitata. Non sapeva capire come, ma questa volta era certa che non fosse una semplice sensazione, sapeva con convinzione che qualcuno la stava insistentemente osservando.

Alzò di scatto la testa cogliendo di sorpresa tutti gli altri che ebbero quasi un moto di spavento.
Si guardò rapida intorno e sentì un brivido salirle lungo la schiena.

"Che diavolo sta succedendo? " .
Chiese tra sé.
La percezione di essere osservata si fece più intensa e allora si alzò in piedi per avere una vista migliore sui tavoli intorno. Pochi tavoli erano occupati e per lo più da studenti, non notava niente di strano o fuori dall'ordinario, ciò nonostante provava un senso di allerta alla bocca dello stomaco ed ebbe la fortissima sensazione che la cute del suo corpo divenisse più sensibile al punto da provare fastidio per gli abiti che indossava.
Era come nel suo sogno, come se i suoi sensi si stessero svegliando da un prolungato torpore per avvertirla dell’imminente pericolo.
Continuò a muovere gli occhi, spostando lo sguardo da una parte all’altra del locale con un espressione indecifrabile sul volto finché Serena non entrò violentemente nel suo campo visivo, le prese il mento nelle mani e volgendo il viso dell'amica verso il suo le chiese se stesse bene.
«Si».

Rispose Emma con un tono di voce che tradiva tutta la sua incertezza, senza neanche voltarsi a guardare la sua amica se non dopo alcuni interminabili istanti.
«Sembrava fossi come in uno stato di trans, come quando ti perdi nei tuoi pensieri...ma con un espressione arrabbiata».

Finendo la frase Serena abbozzò un sorriso ma per la prima volta, avendola accanto, Emma percepì uno strano senso di disagio.

Fissando quegli occhi tanto belli vi colse una nuova sfumatura di colore, erano color ocra, come se la loro tinta originaria si fosse macchiata di scuro, come se una goccia di sangue avesse insozzato la bella sfumatura di arancio che iniziava a colorare quegli occhi ogni autunno.

Emma strizzò un poco i suoi per guardare meglio in quelli di Serena che si voltò immediatamente rivolgendo lo sguardo altrove.
Non era possibile che ora anche Serena la facesse sentire inadeguata, di questo era certa, ma aveva la forte sensazione che la sua amica le stesse nascondendo qualcosa proprio lì e proprio in quel momento.

Emma cercò di cacciare quel pensiero dalla sua testa tornando al presente, ai suoi amici e ai programmi per il suo compleanno. Sorrise alla sua amica che ancora le era dritta davanti ed era tornata a guardarla e, lanciando ancora un ultima occhiata curiosa alla sala, tornò a sedersi.

 

Il resto della giornata proseguì tranquillo anche se Emma non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione preoccupata e stupita che aveva la sua fidata compagna negli occhi durante quello strano momento alla caffetteria.

Per quanto cercasse di spostare altrove i suoi pensieri, durante tutto il pomeriggio continuò a balenarle nella testa l'immagine dell'iride cangiante della sua coinquilina, come un flash incontrollabile ed inevitabile che ad intermittenza le martellava i neuroni sempre più confusi e storditi.

Emma si sorprese più volte a scrollare la testa quasi a volere fisicamente cacciare quei flash senza, purtroppo, riuscirci. Tornando a casa dall’università le due ragazze si scambiarono poche parole in visibile imbarazzo l’una nei confronti dell’altra. Un imbarazzo inconsueto ed inspiegabile.

Questa fu per Emma una triste sorpresa. Non aveva mai visto Serena con quell’espressione tirata ed in difficoltà nei confronti di qualcuno o qualcosa, tanto meno nei suoi.

Probabilmente fu una liberazione per entrambe separarsi quel pomeriggio.

Andarono tutte e due al lavoro, Serena in una sorta di erboristeria con annesso laboratorio ed Emma nel locale dove faceva la cameriera da quando era arrivata Zurigo.

 

3

 

 

Serena non riusciva a smettere di pensare a quanto era accaduto nella caffetteria quel pomeriggio e continuava a chiedersi con crescente preoccupazione se Emma si fosse resa conto del suo reale turbamento.

Lei sapeva che la sua amica non stava sbagliando. Sapeva che quella di Emma non era solo una fantasiosa sensazione perché era a conoscenza che lui la stava osservando come sempre aveva fatto negli ultimi sedici anni, dal giorno in cui i genitori di Emma erano morti.

Quello che ignorava, quello che non riusciva a capire, era come la sua adorata amica fosse riuscita a percepirne la presenza con tanta chiarezza e veemenza, come se quella fosse per lei la cosa più normale e consueta al mondo. Come se fosse per lei un sentore innato e genuino.

Serena era certa del lavoro svolto fino a quel momento, certa di aver raggiunto il fine preposto, ovvero tenere lontana Emma dalla sua vera natura, difenderla da ogni oscurità.
O meglio, ne era stata certa fino a quel pomeriggio, quando tutte le sue sicurezze sembravano aver vacillato in un solo inaspettato istante nel momento in cui Emma, in un modo per lei inspiegabile, era riuscita a bypassare le sue difese e le restrizioni che le aveva costruito intorno.

Sapeva che tutto era andato come doveva, che avevano tutti svolto correttamente il loro compito, specialmente lei che tanto l'amava, era per lei più di una sorella e non le fu un compito difficile esserle accanto per proteggerla in tutti questi anni.

Non era stato per lei un dovere perché tra le due ragazze si era creato un rapporto profondo e pulito, erano sinceramente amiche nonostante fossero estremamente diverse e nonostante Serena fosse da molto più tempo di Emma su questo mondo.

Tanto era l'affetto che le legava che Serena avrebbe messo a rischio la sua vita per la vita della sua amica.

Negli ultimi tempi, comunque, era stato sempre più difficile ed impegnativo per la carismatica ragazza dai capelli biondi costringere la reale natura di Emma a rimanere celata, ridurla ad un’effimera fantasia limitata a manifestarsi solo nei sogni dell’amica.

Da qualche tempo era come se la sua vera essenza si stesse facendo strada e Serena ebbe bisogno dell’aiuto di Martha per riuscire a tenere a bada l’irruenza e la forza dell’animo della vivacissima brunetta.

Il potere di Emma era immenso ed immensamente pericoloso e nessuno, tanto meno lei, ne conosceva il reale calibro. Per questo, quando iniziò a manifestarsi malgrado gli sforzi di Serena, Martha fu, per così dire, reclutata.

La stravagante rossa era entrata nella quotidianità di Emma solo un paio di anni prima anche se, in realtà, le era accanto da tutta la vita come osservatrice attenta e discreta.
Le due streghe, che avevano fino ad ora tenuto celato il loro immenso potere, avrebbero adesso, lavorando insieme, cercato di portare a termine il compito iniziato da Serena anni prima, quando aveva fatto un incantesimo di protezione su Emma nel giorno della sua nascita, il 31 ottobre del 1990, il giorno dello Samhain tentando, adesso, insieme, di fortificarne l'effetto. Diverse nell’aspetto, Martha e Serena lo erano anche nella forza e nell’origine del loro potere.

Serena era una strega Wicca, decisamente più giovane di Martha come età e culto, attingeva la forza del suo potere dagli elementi della natura...aria, acqua, terra e fuoco.
Martha, come rivelano le sue origini, era una strega di discendenza Druida il cui potere aveva origini centenarie.

Più intimista e contemplativa la prima si coadiuvava della forza e dell’irruenza della seconda attingendo, entrambe, ad un unico Sommo Potere, quello della Madre Terra.

Erano entrambe streghe tra le più potenti esistenti al mondo e il loro compito era, ormai da molti secoli, quello di difendere la discendenza di una delle matriarche o streghe originarie, Tarja. Per secoli era stato sufficiente vigilare con attenzione senza mai prendere parte attivamente alla vita degli umani.

Mai, prima d’ora, erano entrate così a stretto contatto con le donne della casata della potente strega, non era stato necessario perché nessuna incarnava realmente la prescelta descritta da Tarja stessa nella sua profezia, nessuna fino alla nascita di Emma.

 

Tarja era una strega dall’intenso potere che si innamorò nel lontano 1840 del suo nemico per natura, un vampiro. Andrew. Bello e seducente per diritto di nascita, Andrew aveva un animo puro nonostante la sua natura di dannato.

Nella sua vita umana era stato figlio amato ed amico leale, aveva intrapreso gli studi di medicina e voleva aiutare le persone facendo loro del bene rinunciando ai pregi di una vita agiata che il suo ceto avrebbe potuto regalargli ed alla vita mondana per dedicarsi animo e corpo agli infermi ed ai malati.

Il fato, pero', decise per lui un destino differente.
Una donna si innamorò di lui secoli prima del suo incontro con la bella strega. Danielle.
Tutti gli uomini ne erano affascinati e avrebbero affrontato l’inferno per lei. Li stregava con un solo guardo.
Danielle aveva occhi neri come la notte, profondi e maliardi. Il suo volto delicato a forma di cuore era incorniciato da una cascata di riccioli rossi che le ricadevano morbidi sulle spalle. Tutti gli scapoli di Londra sgomitavano per strapparle un giro di danza ad ogni serata di gala che si teneva in città.
La bellissima rossa annoiata da tanta accondiscendenza iniziò a rivolgere le sue attenzioni all’unico uomo che non la degnava di uno sguardo, Andrew.

Andrew non trovava di nessun interesse la giovane donna che ai suoi occhi sembrava essere soltanto una bambina viziata ed irriverente nei confronti della gente comune.

Ed aveva ragione, perché proprio come una bambina viziata e capricciosa Danielle voleva sempre tutto ciò che sapeva non avrebbe potuto avere, Andrew compreso.

Danielle usava comportarsi in modo arrogante ed irrispettoso con ogni essere vivente che incontrava sulla sua strada, quasi provasse disgusto per la natura umana stessa rendendosi ancor meno attraente, quasi detestabile, agli occhi del ragazzo che invece alla vita altrui aveva dedicato la sua.

La giovane donna corteggiò con insistenza Andrew senza ottenere da lui un solo segno di coinvolgimento.
Il giovane sembrava tollerarne appena la presenza e spesso si chiedeva stupito cosa trovassero in lei gli altri scapoli della città, suo fratello compreso, non vedendo in quella donna altro che una bella scatola vuota.

Nonostante lui sapesse di non provare alcuna attrazione per Danielle non riusciva, a volte, a sottrarsi al suo sguardo, non era in alcun modo in grado di rifiutare quegli occhi. Si sentiva, suo malgrado, da essi incantato. Quando lei gli parlava fissandolo diritto negli occhi, le carni di lui si facevano molli, una nebbia di pensieri affollava la sua testa e tutto il mondo intorno sembrava divenire ovattato. I suoni, i rumori, tutto sfumava i suoi contorni in favore di una ben più torbida sensazione di confusione ed abbandono.

Una fresca sera d’estate, Danielle gli chiese di accompagnarla per una passeggiata e per quanto Andrew sapesse per istinto che non avrebbe dovuto accettare, non seppe rifiutare.
Arrivati prossimi ai margini della foresta, abbastanza distanti dalla città perché nessuno potesse interromperli lei iniziò a parlare.

«Non temere mio caro Andrew, non sentirai alcun dolore». Disse Danielle con uno strano languore nella voce.

In quel preciso istante fu come se tutte le forze della natura si prendessero a braccetto ed insieme iniziassero a manifestare la loro potenza.

Il vento iniziò a frustare l’aria con una furia mai vista.

Gli alberi sgrullarono violentemente i loro rami sotto l'effetto del suo urlo agghiacciante che con un sibilo sinistro formava mulinelli di foglie.
Andrew sentì lontano l’eco dei suoi pensieri che gli intimava di voltarsi ed iniziare a correre ma non poté distogliere gli occhi dagli occhi di Danielle, che eterea e veloce si avvicinava senza quasi toccare terra, come se fosse priva del peso del suo corpo. Un moto di terrore incurvò gli angoli della bocca del giovane che non riusciva a comprendere quanto stesse accadendo, perché si trovasse lì e soprattutto per quale motivo il suo corpo non rispondeva a quanto lui gli comandava. Fuggire via veloce e lontano.

In un istante che sembrò eterno Danielle si trovò vicinissima al giovane uomo. Andrew poteva sentire il respiro freddo ed innaturale di lei sul viso. Lei si avvicinò di più e senza proferire parola gli sfiorò le labbra con le sue facendole poi scivolare maliziosamente lungo il collo di lui rigido ed immobile mentre il respiro le si faceva affannato e bramoso.

Era desiderio quello che Andrew le leggeva negli occhi, quello che esprimeva tutto il corpo di lei ormai completamente appoggiato al suo al punto che lui poté sentirne ogni membra.
I seni turgidi e tesi nel momento del piacere, il ventre piatto, le gambe snelle e forti, il monte di Venere voglioso, ogni centimetro del corpo di lei era attaccato a quello di lui.

In quel momento lei parlo con voce calma, fu quasi un sospiro quello che le uscì dalla bocca.
« Sarà esaltante ed appagante per te quanto lo sarà per me ». Danielle socchiuse appena le labbra mentre con decisione lo stringeva a sé.

Fu in quel momento che Andrew si rese conto che le storie che gli raccontavano quando era un bambino non erano partorite

dalla fantasia degli anziani. I ricordi corsero alle ore spese con suo nonno, alle leggende che gli erano state narrate e la convinzione che non fossero solo un modo per tenerlo a bada nelle ore di gioco divenne una realtà.

La luna, affacciandosi da dietro le nuvole che fino a quel momento l’avevano tenuta nascosta, illuminò il volto pallido di Danielle. I suoi occhi avevano cambiato colore, erano ora di un violetto acceso e la sua bocca emetteva un ringhio inumano. Andrew la guardò fissa in volto e solo allora li vide. Due denti da fiera facevano capolino dal suo beffardo sorriso.

Quello che accadde dopo fu una sequenza confusa di eventi dei quali lui ebbe chiara memoria solo in seguito.
Lei tirò indietro la testa del giovane ormai incapace di ogni resistenza e, con sensualità, prima gli passò la lingua sul collo alla ricerca del caldo richiamo del sangue e poi in un violento istante vi conficcò i denti con forza e decisione.

Andrew si abbandonò ad un lamento brevissimo, in un attimo tutta la paura, il terrore e l’iniziale dolore lasciarono il posto ad un senso di stordimento e devozione. Si sentì inaspettatamente felice di nutrire la sua signora.

Danielle bevve con avidità per un infinito momento mentre Andrew, sentendo il corpo cedere, temette di essere sul punto di perdere i sensi proprio quando lei aprì un bottone del bustino, sul davanti, e con le unghie si fece un sottile taglio. Dopo aver avvicinato delicatamente il volto di Andrew al suo petto, lo costrinse a bere.

Lei lo guardava compiaciuta e soddisfatta mentre lui, reticente all'inizio, iniziò dopo alcuni istanti a bere con ingordigia e avidità credendo, in quell'assurdo momento, di amarla tanto fortemente quanto seppe di odiarla ostinatamente per quello che gli aveva fatto una volta che ne prese coscienza nelle ore seguenti.

Andrew cadde in un sonno profondo, irreale. Un sonno di morte. Quando si svegliò gli occhi ci misero un po' ad abituarsi all’oscurità della stanza appena rischiarata dalla fioca luce di una candela nella quale si ridestò ormai a notte fonda.

Si guardò intorno, perlustrando con attenzione l’intera stanza che non era in realtà molto grande. C’era un camino in un angolo ed un tavolo con un paio di sedie, il pavimento in legno era scolorito e rovinato in più punti dall'incurante continuo passaggio di chi vi abitava.

Il posto aveva un odore familiare, un odore che conosceva bene, c'era puzza di polvere da sparo e selvaggina.
Andrew comprese quasi subito di essere nella foresta, in uno dei capanni per cacciatori.

Mentre cercava ancora di uscire da quel limbo fatto di sogno e realtà, ad un tratto la vide.
Lei era seduta poco distante da lui nella totale oscurità, ciò nonostante riuscì comunque a percepirne la presenza.

Fiera e sicura avanzò verso il giovane malcapitato.
«Sei sveglio finalmente, aspetto da molto ».
Danielle allungò una mano per toccare il suo ospite ma questi si allontanò da lei con un solo velocissimo balzo, sorpreso lui per primo da tanta rapidità.
Rimasero in silenzio per un po’.
Fu lei la prima a parlare.
«Sapevo saresti stata la mia scelta migliore».
Disse la bellissima vampira sorridendo beffarda, e poi aggiunse: «Ero in cerca di un compagno e quando ti ho visto non ho potuto fare a meno di desiderare che fossi tu, sei...».
«Desideravi ciò che non potevi avere».
Andrew la interruppe con forza e determinazione. Nella voce non c’era più alcuna sfumatura di paura.
Lei sorrise paga di quanto accaduto e certa del fatto che ormai lui le appartenesse.
«Comunque sia l’ho ottenuto!».
Continuò lei accarezzandogli il volto con un gesto quasi distratto mentre si spostava all'interno della stanza.

«Ora rimarrai al mio fianco per sempre e sarai tu ad avere bisogno di me».

Inorridito al solo pensiero di condividere con lei un altro istante, Andrew volse lo sguardo altrove e, serrando le labbra, si ricacciò in gola la risposta che avrebbe voluto darle.

Non aveva voglia di conversare con quel mostro, voleva solamente ritrovare la sua lucidità e con essa una via di fuga.

Quasi subito Andrew si sentì avvampare, un calore irreale lo stava pervadendo, aveva fame, la stessa fame che aveva letto negli occhi di Danielle alcune ore prima quella stessa notte. Allora capì. Solo in quel momento gli fu tutto chiaro e le parole di lei ebbero un senso.

Non si era limitata a soggiogarlo e a nutrirsi di lui ma, facendogli bere il suo sangue lo aveva infettato con il suo veleno rendendolo un mostro proprio come lo era lei. Un vampiro.
Andrew non voleva e non poteva cedere a quell’istinto animalesco che gli faceva bramare sangue, non voleva inginocchiarsi di fronte alla sua maledizione.

Cercò di resistere alla fame mentre Danielle lo guardava compiacente conscia che prima o poi egli avrebbe ceduto. In realtà non accadde mai.
Mai negli anni che seguirono Andrew si nutrì del sangue di un essere umano. Si nutriva cacciando, di notte, nella foresta animali di grande taglia.

Questo fu il motivo per cui per molto, moltissimo tempo non riuscì a liberarsi della pressione di Danielle e ad opporsi a lei. Danielle era un vampiro tra i più antichi ed era dotata di enorme forza e di grande potere. Era in grado di soggiogare gli umani ed i vampiri più giovani e deboli e quelli che, come Andrew, si nutrivano solo di sangue animale che saziava la fame ma non la bramosia.

Il sangue umano, dal canto suo, è ricco di sommo nutrimento e conferisce grande potenza perché l’essenza dell’uomo scorre nelle sue vene ed impadronirsene significa arricchire la propria,

così come privarsene significa rendere la propria mente ed il proprio corpo deboli.

Per secoli fu costretto a seguire la sua padrona senza essere abbastanza forte per ribellarsi a lei.

Cercò più volte di liberarsi dalla morsa nella quale lei lo aveva costretto ma le conseguenze furono ogni volta devastanti per Andrew.
Si era, alla fine, persuaso che quella era la sua condanna e la sua punizione, una punizione dalla quale mai si sarebbe potuto liberare accettando, con rassegnazione, questa sua nuova condizione.

Fu questa intima rassegnazione che lo rese incapace di reagire anche quando il suo stesso destino toccò a suo fratello minore il quale, in realtà, ne fu felice ed appagato.
Andrew si arrese a questa sua posizione nel mondo fino a quel giorno, fin quando la vide. Fin quando vide Tarja.

 

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